Primo classificato
Un’estate ancora di
Maria La Bianca
Se tornasse un’estate
lunga
come la più lunga delle estati
sorpresa tutta nell’istante solo
di una carezza appena
e poco più di un soffio
tra le labbra.
Se tornasse quell’estate
e quell’età
resa intatta alla prima incoscienza
ancora troppo spaurita tra le gambe.
Se tornasse l’estate
prima dell’estate matura
e con quell’estate tornassero
complici
le prime ombre della sera
acerbe nello sguardo sorpreso
delle amiche di allora.
Senza se
sarebbe oggi quella stessa follia
e le risate
le corse
le notti insonni verso l’alba.
Basterebbe
alla sorpresa di essere ancora
capaci io e te della stessa follia
un’estate e una notte
amica mia.
Secondo classificato
La Luce dell’Arcano di
Cettina Silvani
Paola entrò in punta di piedi in quella stanza. Subito ebbe la percezione che non ci fossero i muri,ma volanti separazioni.
Come tendoni impregnati di odori di cucina.
Presto superò quella sensazione di provvisorietà, e sedette davanti a lei.
Le efelidi ricamavano le mani scarne di Rosalinda, che non amava definirsi cartomante, ma “angelo di luce”.
Le giovani ciglia rigogliose, si abbassavano lentamente e si aprivano d’improvviso. come finestre al mattino.
Paola, ne rimaneva incantata.Pensava che da quelle fessure azzurre, da quegl’iridi lucenti, potesse trafugare l’amore perduto,
per un uomo mai avuto.
Adesso si trovava di fronte a quella possibilità. Una combinazione vincente per essere felice.
Rosalinda le offriva l’amore doveva solo scegliere .
Snodava le carte ora ruota, poi a croce,a sinistra a destra;
al centro; alto o basso.
Quale era la domanda giusta da svelare? si chiedeva Paola:
L’arcano della saggezza la guardava ; la morte le era accanto, gli amanti li incrociava, la torre era in agguato.!
Rosalinda continuava a mescolare, non scandiva le parole, la sua voce si confondeva con lo scroscio delle carte.
D’improvviso una vocina aprì il finto muro. Paola ritornò alla senzazione di provvisoria separazione. Al tendone con l’odore di cucina.
«Mamma» sussurrò!
Rosalinda ebbe un sussulto, le finestre dei suoi occhi si illuminarono.
Paola vide quell’esserino biondo diafano come un Angelo di Luce.
«Dimmi» rispose Rosalinda con un tono sconosciuto a Paola.
«Quando hai finito con la signora» continuò la bambina, «possiamo andare a comprare lo zaino per la scuola?».
Paola si alzò sicura: solo una domanda le uscì senza incertezza: «Quanto ti devo?».
«Ma non abbiamo ancora finito!» Rispose contrariata la cartomante.
«Dimmi la somma» continuò fermamente Paola, «voglio comprare lo zaino a tua figlia».
Terzo classificato
Eva
di Valentina Marino
La luce suadente illumina i tuoi occhi, Eva,
irradia l’oscurità delle vie tortuose,
è lì che la mia anima giace inerme.
Prendi la mia mano,
bacerò le tue labbra
nel desiderio di un’inebriante e
profondo respiro dell’anima.
Che leggera e lucente,
io possa albergare nel tuo vulnerabile cuore,
che col suo candore splendente,
mi fa vergognare del mio.
Incantevole luna,
regina di notti insonni,
avvolgimi tra le tue braccia,
ripongo così le armi,
stolto mortale ch’io sono.
Con te scorgerò infiniti tesori
che le tenebre vogliono celare
ai miei occhi,
rendendomi prigioniero immortale ed
infinito come il suo mare in tempesta.
~ ~ ~
Meritevoli di pubblicazione, a giudizio degli amministratori, i seguenti sintoscritti:
La vecchia fortezza
di Irene Minuti
Ruderi antichi che non raccontano più.
Il muro innalzato nasconde la storia.
La terrazza del caffè
di Roberta Manzin
Il profumo del vissuto
ha fatto da eco
nei passi di un presente
disordinato.
Il silenzio può raccontare
nel fondo di un’attesa
la notte rimandata.
Vicino a casa
di Valentina Carinato
C’è un grande prato
vicino a casa
dove correvo
dietro a un pallone
nelle ore del sole
con il passare delle stagioni
m’accorsi di correre
per un’ altra ragione
e d’avere il fiatone
pieno d’amore
per il primo
mondo d’amore.
Libero pensiero
di Patrizia Benetti
Susy si allontanò dai compagni di classe, attratta da un quadro che ritraeva un ragazzino curioso.
«Torna qui!», le disse l’amica Ellen, ma lei scosse le spalle.
Gli stucchevoli insegnamenti di Miss Templeton la annoiavano a morte.
Susy si fermò davanti al suo quadro preferito e cominciò a fissarlo con interesse. Si chiese a cosa stesse pensando quel ragazzino curioso e impaurito. Forse si sentiva come lei: assetato di conoscenza vera e stanco di stolti stereotipi. Sicuramente aveva voglia di fuggire.
Si avvicinò alla tela e osservò la perfezione di quel giovane corpo, la carnagione chiara, gli occhi vivaci. Non riuscì a resistere e lo toccò. Per un attimo le parve di vederlo muoversi.
Rise di se stessa, della sua fervida fantasia e si grattò la testa con fare buffo.
«Ho prurito. Non riesco a stare fermo» le disse una vocina.
Susy si fece seria pensando di avere le allucinazioni e si stropicciò gli occhi.
«Non farmi ridere, ti prego. Faccio una fatica enorme a posare quotidianamente per tutta questa gente sconosciuta».
«Tu non esisti, moccioso. Sei frutto della mia mente» disse lei scossa.
«Io sono come te. Te l’ho letto nel pensiero» replicò il ragazzino intrappolato nella tela.
«Strano? Irrequieto? Una voce fuori dal coro?» chiese Susy.
«Sì. Liberami, ti prego».
Sulla galleria d’arte si aprì uno scorcio di campagna in fiore. Due fanciulli si fecero largo tra la folla ammutolita e svanirono lungo il viale baciato dal sole tenendosi per mano.
Gabriele
di Lucia Amorosi
Aveva studiato con cura maniacale. Aveva elaborato il suo piano per rubare la scena a quei dilettanti protagonisti della cronaca nera, a quegli omuncoli che si credevano artisti del crimine. Lui li avrebbe superati tutti, e poi li avrebbe puniti.
Finalmente il momento era arrivato, e lui se lo stava godendo. Era lì Gabriele, proprio davanti al pronto soccorso del Policlinico della città, fumava una sigaretta nel buio, con la schiena poggiata ad un albero. Mescolato a tanti parenti in attesa di notizie. C’erano anche gli inviati dei più famosi tg nazionali che con le telecamere cercavano morbosamente di rubare lacrime e disperazione, nel sotto-fondo un frenetico via vai di ambulanze. I sintomi di tutte le migliaia di ricoverati in codice rosso erano inconfondibili: avvelenamento da cianuro. E non era certo l’unico ospedale in allerta: tutti bevono l’acqua.
Avrebbe voluto prendere uno di quei microfoni e urlarci dentro: “Sono stato io, ho avvelenato io l’acquedotto cittadino!” Ma si sarebbe perso la parte migliore, quella nella quale gli inquirenti brancolano nel buio e le vittime, dopo aver pregato tutti i santi del paradiso, si rivolgono al loro angelo custode: l’arcangelo Gabriele.
Wuff
di Mauro Berti
Quel giorno, mentre intento camminava , occhi bassi, pensieri in tumulto, inciampò in un’ombra; stava quasi per calpestarla, che ritrasse in fretta il piede, rischiando di finire lungo disteso sul marciapiede. Fu un gesto inconsulto, una reazione automatica, come se quell’ombra apparsa all’improvviso, fosse un’ombra speciale, che salirle sopra, avrebbe strappato gemiti flebili, lamenti. Alzò di colpo lo sguardo a cercare ‘chi fosse’ quell’ombra e si scontrò con quel viso, i capelli, quegli occhi d’un verde sottile; non si fece domande, non le chiese “permesso”, si innamorò come fa un raggio di sole che ti entra dai vetri.
Luciano
di Francesco Colaci
Eravamo entrambi studenti quando diventammo amici , Luciano ed io.Ricordo il suo viso rotondo con grandi occhi neri, la bocca paffuta ed il taglio a caschetto dei capelli.
Di statura media e di costituzione piuttosto robusta,lo si poteva facilmente riconoscere per quel suo passo sbilenco, con una spalla ricurva sotto il peso di un inseparabile borsone a tracolla ed il capo inclinato dalla parte opposta, verso la spalla libera.Indossava abitualmente un impermeabile color seppia di un paio di taglie più grandi di lui.
Luciano ,all’inizio di ogni estate ,metteva da parte i libri e con in tasca un abbonamento ferroviario internazionale, girovagava per l’Europa soggiornando ,per brevi periodi ,in città di provincia , fregandosene delle grandi capitali;ricercava piccole cittadine con un ampio centro storico pedonale le cui strade , case , palazzi potevano rappresentare un ambiente scenografico ideale da rendere verosimile l’incontro con uno di quei personaggi immaginari fuoriusciti dalla penna di Balzac.
Che tipo “strano” il mio amico, vero? Amava viaggiare, eccome! Ma nel passato.
Luciano s’innamorava facilmente, di getto, a volte bastava un gesto gentile, affettuoso per cascare a terra come una pera matura. Non era il tipo che perdeva tempo ad indagare i reali sentimenti della prescelta che , comprensibilmente,il più delle volte era all’oscuro di tutto.
Questo suo bisogno irrefrenabile era foriero di cocenti delusioni d’amore.
Fu proprio a causa dei suoi amori non corrisposti e delle conseguenti , interminabili, discussioni tra noi che la nostra amicizia sì raffreddò.
Pian piano , mi allontanai da Luciano,lo abbandonai.
In cuor mio riconoscevo che eravamo l’uno ,lo specchio dell’altro ed era ormai maturato il tempo, per me,di emanciparmi, di rinascere a nuova vita.
Il curriculum
di Ida De Giorgio
«E prova, almeno, fammi contenta!»
Sbuffo, poi prendo il foglio e bofonchio: «Va bene, mamma, farò come vuoi, anche se non serve a niente. Figurati se non ci sono già un mare di raccomandati!».
Nome, cognome, bla,bla,bla. Residente… direi piuttosto bivaccante qui, in casa di mia madre, sopportato e mantenuto da quel borioso “secondo papà” che mi vorrebbe fuori dalle scatole, magari a vivere sotto un ponte. Titolo di studio. Laurea in Ingegneria, sei anni esatti, massimo dei voti. No, troppo titolato, basta il diploma. Forse è esagerato anche quello per un posto di operatore ecologico. Avrei dovuto costruire strade e ponti, grattacieli e teatri ed invece sono qui a sperare almeno di spazzarli per una miseria al mese. Vai all’estero, dicono. Ci sono stato, all’estero. Due anni vissuti pericolosamente nel deserto libico, guardato a vista: non era vita. Poi dici, con l’esperienza ti assumeranno subito in Italia. Se sei una gallina e fai cococo. Oppure col contratto a strozzo, che se non stai zitto e ti lamenti ti impicchi, appunto.
Hobby. Ma cosa gliene frega a questi di quello che mi piace? Essere patito del jazz incide sull’angolatura della ramazzata? Oppure si intonano romanze liriche mentre si svuotano i bidoni? Se scrivessi che mi piace camminare, conterebbe qualcosa? Basta. Inutile perdere altro tempo a pensarci. Licenza terza media, nessuna esperienza lavorativa, mi piace il calcio e i cinepanettoni e fumo pure, fa più macho.
«Lo spedisci tu, mamma?».
Io me ne vado in camera mia, metto su un polpettone francese e faccio finta che a farmi piangere sia l’eccesso di romanticismo.
Tramonto (Ricordo Estivo)
di Francesco Garrambone
Qualche anno fa, durante una vacanza al mare mi ero emozionato per un fatto che vi voglio raccontare.
Dunque, c’era un ristorantino all’aperto, Ore7 gestito non a caso da sette ragazze dall’animo gentile, sorridente, cordiale e professionale; si trovava appena qualche metro sopra la riva che mi capitava di frequentare la sera durante la vacanza estiva. Io ero sempre rimasto affascinato e incuriosito da questo locale e mi domandai perché si chiamasse proprio così!
Di solito la mia attenzione era rivolta al menù, agli amici, alla cena, alla conversazione.
Quella sera, invece, il mio sguardo si fermò su una ragazza mora, forse si chiamava Giada, mai vista prima. Forse la conoscenza e l’incontro saranno avvenuti per il clima dell’ambiente marino, o per l’intenso profumo di mirto e rosmarino, con il sole che a quell’ora si lasciava piacevolmente guardare con i suoi riflessi nell’acqua.
Quella sera fui attratto esclusivamente da quel sole nel cielo limpido, da quella ragazza dallo sguardo magnetico, profondo, passionale e da quel mare che rifletteva le nostre ombre, mentre guardavo insieme a lei quell’orizzonte lontano dipingendo colori riflessi, provando un’emozione forte e straordinaria, come se fosse uno spettacolo che ogni sera andava in scena per l’umanità e, quella sera, le persone per la prima volta ne facevano parte nella sua totale gratuità.
Poi l’ultimo raggio di luce dolcemente, senza farsi notare, piano piano scomparve ed io rimasi attonito ad osservare le ombre della sera che accompagnavano l’orizzonte.
Per un pò di tempo rimasi assorto, mentre un pensiero mi interrogava dentro dicendomi: «CHI SONO, DA DOVE VENGO, A CHI DICO GRAZIE? A CHI?».
Forse alle persone che ci hanno fatto incontrare su questa spiaggia, tenendosi per per mano, mentre guardavo il tramonto calare sul mare di un caldo Agosto.
Per amore delle mie sorelle
di Philip Mauro Marlowe Caliendo
Said viene un giorno nel mio studio con il suo sorriso di gazzella timida. Suonando al campanello sbaglia e così, prima di arrivare finalmente a bussare alla porta giusta, bussa praticamente a tutte le porte del palazzo. Non tutti gli aprono, vedendo dallo spioncino questo marocchino barbuto e magro come stesse morendo di fame, che sembra uscito da una duna del deserto, ma con un ampio camice blu da tornitore, decisamente tutto sozzo.
Ma finalmente arriva.
Gli ha detto di venire da me un suo amico e connazionale che era dimagrito anche lui di dieci chili per i dispiaceri: dopo aver fatto la domanda di ricongiungimento con la giovane moglie, lasciata per anni in Marocco, attendeva da mesi e mesi che la situazione al Consolato Italiano a Casablanca si sbloccasse, ma inutilmente, e il nulla osta stava per scadere (avrebbe così dovuto ricominciare tutto da capo, quindi rischiava di non vedere sua moglie per un altro anno e mezzo almeno!).
Era bastata nel suo caso una raccomandata in Questura per scoprire che un certo fax non era mai partito o non era mai arrivato, e così in poche settimane, era tornato da me a presentarmi la moglie finalmente arrivata, ma io stentavo quasi a riconoscerlo poiché era rinato a tal punto da essere davvero un altro.
Said ha lo stesso problema, ma con il visto per lavoro della sorella minore. Dopo aver trovato un datore di lavoro, dopo aver fatto le file di prammatica, Said le ha spedito il nulla osta ottenuto dalla Questura, ma quando Fatima si è presentata negli uffici di Casablanca per avere il visto, nessuno sapeva nulla di lei.
Said è preoccupatissimo. Anche se il nulla osta non è in scadenza, lui è teso, sorride come chi si sta sforzando di mantenersi calmo, ma in realtà freme e sta tremando dentro il suo camice blu.
Faccio partire la raccomandata (una fra le decine simili, senza le quali altrettante pratiche rimarrebbero definitivamente impantanate…).
Dopo qualche giorno, Said viene in studio radioso e sorridente (questa volta dal profondo del cuore) a dirmi che finalmente il nome di sua sorella è comparso nelle liste, e che quindi fra poche settimane Fatima arriverà in Italia.
Parliamo un po’. Said ha un viso che sembra un bambino al primo giorno di scuola, sembra un chierichetto (uno di quelli atipici, che non sono mai stati malandrini…).
Gli faccio una serie di domande di quelle che un avvocato sempre fa per valutare e soppesare il proprio cliente, per capirlo più di quanto egli stesso creda di stare rivelando o di essere in grado di non lasciar trasparire.
Diceva Lévinas che “incontrare un uomo significa essere tenuti svegli da un enigma”. Man mano che chiedo, si snodano le vie del racconto, come un percorso fra i deserti.
Per ‘convincere’ il datore di lavoro a fare la richiesta per far lavorare e venire sua sorella, Said ha pagato 3.500 euro (sono quasi cinque mesi interi di stipendio, per lui). Altro che fiction!
Ma soprattutto, Said ha anche un’altra sorella. Nel 2000, per riuscire a farla venire in Italia, aveva preso un accordo con un amico: lui avrebbe sposato la sorella dell’amico, e l’amico avrebbe sposato sua sorella, e così entrambe avrebbero avuto la possibilità i venire in Italia. Quando già tutto era pronto, i rispettivi matrimoni celebrati giù in Marocco, l’amico scappa in Francia con un’altra ragazza, una francese, e lì la sposa, acquisendo la cittadinanza e decidendo di restare oltralpe. Fra l’altro, si rifiuta per un certo periodo di concedere il divorzio alla sorella di Said. Dunque, sua sorella maggiore adesso è senza possibilità di venire in Italia e senza possibilità di risposarsi in Marocco perché difficilmente troverebbe qualcuno disposto a prenderla in moglie a 37 anni e dopo questa storia.
Mi dice se c’è la possibilità di fare un ricongiungimento, anche tenuto conto del fatto che i tre fratelli sono ormai orfani da lungo tempo (la madre, malata di cuore, rifiutò di farsi operare in Francia dicendo che non voleva rischiare di morire lontano dalla casa dove erano nati e vivevano i suoi figli; il padre morì di dolore e vecchiaia qualche anno dopo…).
Mi dice che la fortuna di sua sorella è nelle mie mani visto che sono stato ‘fortunato’ la prima volta con l’altra sorella.
Vorrei sentire raccontare molto più a lungo. E si vede che lui ha bisogno (proprio bisogno) di raccontare. Così gli chiedo se, nonostante sia uomo, sappia cucinare la cucina marocchina e lui risponde che è bravissimo. Mi dice però che per fissare una cena o un pranzo deve parlare con la sua compagna.
Dopo aver penato a lungo per potersi separare dalla sorella dell’amico traditore, infatti, ha trovato una compagna Italiana, una ragazza madre con già due figli a carico a cui lui vuole un mondo di bene e che lo amano come un vero papà (infondo ha poco più del doppio dei loro anni!).
Dopo di che esita, gli si gonfiano gli occhi. Gli trema proprio il labbro come ai bambini quando trattengono di scoppiare in singhiozzi. Riesce appena a dirmi balbettando che adesso ci sono problemi anche con la sua compagna, che lui non si spiega perché. Che i figli in realtà lo vogliono con loro, ma lei sembra abbia solo voglia di litigare.
Riesce con qualche sforzo a ricomporsi subito. Ci salutiamo e lo spazio davanti alla scrivania quando torno a sedere mi sembra vuoto. Anzi, mi sembra come il letto di cenere dopo che si è spenta la fiamma: ancora è caldo, fumante, e trattiene il ricordo della luce di poco prima.
La mancanza creata dalla interruzione del racconto si materializza dopo appena un minuto. Suonano di nuovo. E’ di nuovo Said. Entra impacciato, quasi pauroso, non sa come dirlo, ci prova: non c’è per caso qualche problema perché mi ha rivelato il fatto dell’aver pagato i 3500 euro per la questione di Fatima, o per il fatto del doppio finto matrimonio?
Questo timore mi sconvolge. E’ il rimorso (ingiustificato) che può avere solo chi ha conosciuto unicamente le vie del bene e della onestà. Solo chi si è comportato sempre come se di ogni gesto, di ogni parola, di ogni pensiero avesse dovuto rendere conto al cospetto della propria mamma benedetta.
Mi rendo conto che quest’uomo, che sembra un fanciullo cresciuto, ha scolpito nell’anima e ha sempre praticato il precetto di S. Paolo: “I vostri pensieri siano noti a Dio” (Fil. 4, 5). Per un Maestro, questo versetto significa che bisogna avere soltanto pensieri di verità.
Avrei potuto (dovuto) rispondere che a un avvocato si dice tutto, che bisogna dirgli tutto solo per farsi difendere meglio, che per un avvocato è normale sentirsi dire le cose più immonde (ma guai a lui se ci si abitua…).
Ho risposto invece a Said con una domanda: gli Imam non sono pure dottori della legge, come qui lo sono gli avvocati? Si. E tu avresti mai paura di confessare a un Imam il bene e il male che fai se lui ti ascolta sforzandosi di essere segno tangibile dell’ascolto di Dio ? No. E Dio non è forse dolce e comprensivo come una mamma? Si.
Adesso si è calmato. Mi dice che mi preparerà una cena marocchina davvero speciale.
Spero che Allah non si sia affatto offeso di essere stato paragonato ad una mamma!
L’essere perfetto
di Cristiana Apostolo
Quella mattina si mise in auto di buon’ora, prima dell’alba. Doveva affrontare un viaggio lungo e odiava le code dell’ora di punta.
Pioveva, il rumore stridulo del tergicristallo scandiva fastidiosamente il tempo, accese la radio e alzò il volume. Cercò un canale che trasmetteva musica rock, per darsi la carica giusta. Era ancora buio e i colori dei semafori, misti alle gocce di pioggia sul parabrezza, ricordavano le luci psichedeliche dei locali, al ritmo di Don’t stop me now dei Queen.
Il dj di turno era in vena di parlare, gli argomenti dell’alba devono essere davvero stuzzicanti, per attirare l’attenzione del pubblico, e il dj lo sa benissimo, la scelta di quella mattina era caduta sulla Legge di Attrazione. Sbuffò. Avrebbe cambiato stazione se non fosse per quella frase ascoltata li per li: “l’Universo è come il genio della lampada, qualsiasi desiderio tu chieda Egli te lo concederà’’
Le venne da ridere, che sciocchezza! Ma tentare non nuoce, e quella mattina si sentiva dell’umore adatto, quindi fece scendere il finestrino urlando sotto la pioggia incessante: «Universo, voglio incontrare l’anima gemella, l’uomo della mia vita, il prescelto per me dai secoli nei secoli, lo voglio subito, adesso!»
Rise. Rallentò per passare al casello, il telepass emise un leggero tintinnio, la sbarra si sollevò.
Mentre imboccava l’autostrada le note di Because the night di Patty Smith, erano all’apice del refrain, si mise a cantare a squarciagola.
Iniziava ad albeggiare, a quell’ora l’autostrada era semi deserta, la pioggia la faceva sembrare un prezioso collier argentato i riflessi dei lampioni parevano diamanti. Schiacciò l’acceleratore a tavoletta, il contachilometri segnava i cento, poi i centoventi poi centotrenta… I Ramones suonavano la loro Baby I love you. «Un’ altra canzone d’amore» pensò. «La perfetta colonna sonora per un incontro» sorrise, eccitata dalla velocità.
Quel collier argenteo tempestato di diamanti, deve avere qualcosa di magico, ora è lo scivolo di un acqua parco, quanto è divertente, lasciarsi trasportare. Ora è un nastro, un nastro che la vuole annodare in una morsa, malvagia.
Sentendosi in trappola sterza di colpo il volante, l’auto lanciata a tutta velocità scavalca il guardrail e precipita, sulla carreggiata sottostante dove qualcuno sta viaggiando tranquillamente ascoltando Love degli Alice in Chains, non si accorge nemmeno di quell’auto che sta precipitando.
Disse Platone: “All’origine gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione. A volte qualcuno è più fortunato e si ritrova”
Si riconobbero all’istante fusi nella perfezione del Tutt’uno, felici sfrecciarono via.
In lontananza si sentono già le sirene delle autoambulanze, e della polizia; rimarranno stupiti perché non troveranno corpi, solo i tristi rottami di due auto così aggrovigliate sa sembrare fuse, le radio sintonizzate sullo stesso canale, a tutto volume dove The doors suonano The end .
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