I TIPI DI ACCENTO, nella grammatica italiana, sono due:
1. Grave (`)
2. Acuto (´)
Di solito l’uso dell’accento all’interno di una parola è facoltativo e viene usato solo nei casi di possibile ambiguità, come ad esempio tra “pésca” dal verbo pescare e “pèsca” come frutto.
L’accento acuto (´), posto sulle vocali “e” ed “o”, indica che queste devono essere pronunciate CHIUSE.
Esempi: réte, mése, cómpito, giórno.
L’accento grave, nelle stesse condizioni, indica che quelle vocali devono essere pronunciate APERTE.
Esempi: chièsa, còsa, bène, fuòri.
L’accento DEVE essere messo sempre sulle parole TRONCHE*
* Tronche sono quelle parole, composte da più sillabe, nelle quali la voce si appoggia sull’ultima sillaba (caffè, andrà, perché…)
Invece, di regola, NON va messo sui monosillabi.
Esempi:
“Io sto con i lupi”.
“Lucio fu mio amico”.
“Maria non sta bene”.
“Vito se ne va”.
Però ci sono dei casi in cui L’ACCENTO È NECESSARIO per distinguere monosillabi che si scrivono nello stesso modo, pur avendo significati diversi.
“È”, con l’accento (verbo).
“E”, senza accento (congiunzione).
“Da”, senza accento è preposizione.
“Dà”, con l’accento è la terza pers. s. del verbo “dare”.
ATTENZIONE:
“Do” (prima pers. s. del verbo “dare”), per consuetudine, NON vuole l’accento, dato che è facilmente distinguibile, nel contesto, dalla nota musicale “Do“.
Idem per “fa”, terza pers. s., indicativo del verbo fare: non vuole l’accento perché, nel contesto, facilmente distinguibile dalla omonima nota musicale.*
*“Fa’”, seconda pers. s. dell’imperativo del verbo “fare” vuole L’APOSTROFO, NON L’ACCENTO, essendo il troncamento di “FAI”.
Il monosillabo “si”, come PRONOME si scrive SENZA ACCENTO.
Esempi:
- “Si dice che Luisa…”,
- “Quei due si conoscevano bene…”.
Invece “sì”, come AVVERBIO AFFERMATIVO, vuole L’ACCENTO GRAVE.
Esempi:
- “Sei partito? Sì, da un’ora”;
- “Mi ami? Sì, tanto!”.
La stessa regola vale per “ne”.
Esso, come PRONOME, NON vuole L’ACCENTO.
Esempio: “Non se ne parla proprio”.
“Né”, come CONGIUNZIONE, invece, vuole L’ACCENTO ACUTO.
Esempio: “Non c’erano né luna né sole”.
“Se”, come CONGIUNZIONE, si scrive senza accento.
Esempio:
“Se io volessi volare…”
Invece “sé” come PRONOME, vuole L’ACCENTO ACUTO.
Esempio: “Luigi parlava tra sé”.
Ma, nel caso di “se stesso”, il “se” NON vuole L’ACCENTO.
“Su qui e su qua l’accento non va”.
Invece su lì e là, l’accento va
“Po'”, come troncamento di “poco”, non vuole l’accento ma L’APOSTROFO.
Esempio:
“Vorrei un po’ di pane”.
Come scrivere i dialoghi senza sbagliare? Che punteggiatura usare?
Innanzitutto, nel discorso diretto i dialoghi vanno racchiusi tra le virgolette basse (« »)*. L’uso della lineetta non è scorretto, ma generalmente sconsigliato.
* Ascii: alt+174 e alt+175
Ecco le regole di base:
- Il verbum dicendi, ossia il verbo che indica l’azione, come chiacchierare, dire o parlare, non va mai preceduto da alcun segno di punteggiatura, nemmeno quando esso segue il dialogo.
Esempi:
- «Se continuerai ad agitarti» disse Amedeo «finirai col farti male!».
- «Smettetela tutti e due!» intervenne Antonio.
- Il punto, alla fine di un discorso diretto, va messo sempre dopo la virgoletta di chiusura; anche quando il dialogo si concluda con un punto interrogativo, esclamativo o con punti di sospensione, (vedi es. 1).
- Quando una frase viene interrotta dal verbum dicendi, la parola che viene dopo la nuova virgoletta di apertura va in minuscolo, trattandosi del proseguo della conversazione in atto.
Esempi:
- «Se continuerai ad agitarti» disse Amedeo «finirai col farti male!».
- «Hai proprio ragione» rispose Mario «meglio che mi calmi».
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