Non trovo la strada
Nel mio onirico e folle
vagare
Tra sabbie, onde e
un disperato cercar
Il tuo più bel sorriso
Mentre nessuno sapeva
del mio dolore
d’ottobre…
C’ero io solo
quella sera sulla spiaggia
E una barca capovolta
come la mia anima
E il mare
che schiumava
anche per me
la rabbia
d’autunno
La mia
rabbia d’ottobre.
Alterità, distanza, arroganza,
con questa miscuglio di droghe riempi i vuoti mai colmi
di menti alla ricerca di vie illuminate senza vera luce.
Priva di ogni morale, indifferente e altezzosa,
poco concedi e ti rinchiudi nella tua sgarbata risata,
ebbra di lussuria godi solo di te stessa.
Accechi sguardi spenti, fai scorrere lava incandescente nelle vene,
ne fai avvertire il calore, il dolore,
poi diventi ghiaccio e chi cerca la tua verità
si specchia invece nella tua vanità.
Vorrei stringerti forte fino alla fine,
nell’illusa credenza che tu possa comprendere
il male che fai
quando ti nascondi e lasci che tutto scorra,
senza opporti mai.
Vita , inesorabile spazio che concedi ai mortali,
tu manchi di umanità.
È questa la tua povertà.
Sono sfondo di tessuto grezzo,
fascia bianca in rilievo.
Sono cerchio che solletica vita,
nuovo nato.
Sono viso adolescente,
tra finestre che si aprono,
vecchio dai biglietti rossi
e ciuffo di trombetta.
Sono lavoro, fatica e ferro,
il cane che morde plastica.
Sono corda tesa e luce tagliente,
viso nascosto tra cielo e realtà,
tra coraggio e gloria.
Piroetta sospesa come fiato.
Sono naso rosso e scarpe grandi
trucco e stupore,
risa fini in lontananza.
Sono gioia, viaggio e malinconia.
Un cartellone stracciato,
orme di ruote e picchetti
sul selciato.
Da bimba desideravo
cavalcar le stelle.
Naso all’insù,
ogni notte cercavo di catturarne una con lo sguardo.
Fu cosi che un bel giorno:
Salii
Sulla cima del monte più alto.
Con me portai l’Aquilone
Mio amico di sempre.
Lì attesi che si alzasse il vento.
Leccai il dito e lo sollevai
per comprendere quali direzioni,
itinerari o destinazioni
avesse in serbo per noi.
Mi aggrappai all’aquilone
e insieme
ci librammo sulla scia del vento.
Io. L’Aquilone.
Un unico corpo:
Libero, impavido,leggero
a disegnar traiettorie,
ad esplorare il cielo…
d’improvviso Accadde.
Eccola la Stella!
Venirci incontro a velocità stratosferica: bella, luminosa, gioiosa, energica.
Al suo passaggio lasciava una scia, come una coda. I grandi la chiamavano Cometa.
Al suo passaggio l’universo s’inebriava di luce.Io di eccitazione.
Col filo dell’Aquilone feci un lazo
E l’imbrigliai
Lei sembrò non accorgersi affatto di noi,
In realtà era divertita “Guarda questi scellerati” pareva pensare.
E così si lasciò cavalcare. Trascorsi la notte a fare surf tra le stelle. Poi, stanca, l’aquilone legato alla stella a farmi da altalena, chiusi gli occhi e….
“Mari… Mari sveglia! è ora di andare a scuola.”
Era giunto il caldo.
Pigiama leggero,
senza tasche in cui frugare sogni.
L’aria stagnante
negava carezze.
Nero su nero,
le parole sparivano.
Sul tetto del cuore
La luna sembrava vicina,
par ascoltare,
a volte, capire.
Spostavo stelle
con le punte delle dita,
propiziando destini diversi
o, solo diversamente sopportabili.
Era giunto il caldo,
sul tetto del cuore,
dissi alla luna
– Lì dentro
era troppo freddo –
Un belvedere affacciato sul mare e circondato di verde
Un luminoso pomeriggio estivo
Un uomo e una donna anziani sono seduti
ammirano il panorama
un momento lungamente atteso
Da lontano arriva inaspettata la musica di un ballabile.
Lui si alza, le porge la mano
con dolce insistenza la fa alzare
Lei lo abbraccia
E ballano guardandosi negli occhi
Parlano gli sguardi
I ricordi, a volte, ci àncorano alla vita.
Non so chi siete
in una notte come questa,
il mio nome non vale niente
e voi siete nessuno.
Siete le stesse,
ma non comprendo
la vostra essenza.
Stelle eravate.
Ed ero anch’io.
Spegni la luce
e illumina a parole
dolci, sussurrate
quel che resta di me
Fallo adesso
adesso che non corro
e i contorni
sono meno sfumati
Disturba
con gesti e corde vocali
questa noia che tutto inghiotte
Fallo adesso
prima che non resti
nulla
di me.
Seduta sul letto
vestita di bianco
raccolti i pensieri
le pene in un canto
ho dentro preghiere
per un Dio in cui
non credo
un Dio cosi`stanco
che non sente i lamenti
di uomini affranti.
E il vento del Sud
caldo e profumato
ha dentro l’amaro
di dolori vissuti
che pur da lontano
ho sentito
ed un pianto smarrito
non ancora cessato.
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