Con il rapido fuggire del pennino, il blu intenso dell’inchiostro, il caldo fluido dell’oro,
rapide scorrono le parole accalcate nella mente.
Troppe sono le cose da dire e poco il tempo per scriverle.
Nella penna resta il mio cuore, al vento l’oro dei miei capelli e a te l’amore.
Tra le rughe del mio volto ogni attimo dell’intensità del mio tempo!
Vorrei gridarlo al vento il tuo nome, sentirmi libera di farlo, invece è tutto qui, custodito dentro me.
E questa voglia prigioniera vorrebbe liberarsi da queste catene ma fa a pugni col buonsenso.
Ma i nostri cuori, loro si che sono liberi di prendere il volo.
E le nostre anime fanno da eco ai nostri pensieri, puri e sconci
che unendosi all’unisono ci permettono d’amarci.
Questo silenzio
come pietra
levigata dal vento
immobile
continua ad assorbire
voci confuse
distanti
senza germogli
di vita.
Amico fedele
resta
nell’ombra della sera
che cala
e nell’alba pigra
che tace.
Quando mi cercherai
e gli occhi saranno stanchi
saprai che t’ho amata
A modo mio
Uno strano
stronzo modo
In alto i calici
che per i cuori
non è più giorno
Brindo
a ciò che resta
del mio tempo.
Che strana età è quella di mezzo.
Sei come un ciclista che ha scollinato e si gode la discesa.
Ed è bellissimo filare così veloce, con i capelli al vento.
Segno che ce li hai ancora, belli folti come tuo padre.
E poi i chili in più non sono un ostacolo. Ti fanno anzi correre più veloce.
E’ vero che, però, nella discesa vedi il traguardo. Ma è ancora lontano.
E allora ti godi la pedalata sino a quando non dovrai, con fatica, sostenere lo sprint finale.
Sperando che all’arrivo ci sia la folla trepidante.
E, poi, una bella festa.
E, soprattutto, che ci siano quelli che ami.
Che hai amato.
Che ancora devi amare.
Non so se aver amato
fa di me una donna.
Sola in mezzo al niente
ripercorro solchi sul mio corpo
e tremo al ricordo delle tue mani
che sapientemente hanno scavato.
Mi basta averti amato,
in un giorno, una vita.
Avrebbe voluto avere un figlio, qualcuno in cui specchiarsi e a cui perdonare errori e
rivivere tutti i suoi difetti, quelli che suo padre ricordava sempre e che sua madre, invece,
cercava di coprire.
Avrebbe voluto amare tanto una donna da operare con lei quella magia d’amore, gioendo del suo ventre grasso e rotondo da cui percepire un piccolo battito di cuore.
Aveva ormai perso la speranza di non essere scordato.
Fu quando mi confusi agli altri, quando mi invischiai nel loro odore, nel lezzo di sudore, rabbia, paure, che mi sentii uno tra i tanti. E capii che non serviva a niente sentirsi…
Dio, la legge, la giustizia, dalla propria parte; e che era stupido e meschino chiamarsi fuori, credere sempre di avere la ragione in tasca ed il consiglio giusto per ogni disputa e stagione.
Tirai fuori quel mio guanto nero e chinato il capo, lo alzai al cielo: non so se per chiedere vendetta od un qualche perdono.
Mani che esplorano
Un corpo desideroso,
In punti che nemmeno sapevi d’avere…
Mani che stringono,
Impedendoti di fuggire
Da cordini bagnati..
Mani che ti accarezzano il viso sopraffine,
Dove occhi si perdevano teneramente…
Quando c’eri tu.
Mi temevi
E ti piaceva…
E penso…
Penso di sbrigarmi
Chè non è il mio posto
Non sei la mia donna..
È la mia anima
Che vola troppo alta,
Rendendoti un oggetto
Per puro sfogo mio.
Rimango seduta all’ombra dei miei ricordi,
come una farfalla silenziosa,
osservo la mia vita che trascorre
e d’un tratto rivedo il rinverdire della mia giovinezza.
Guardo il cielo, il mare,
gli uccelli che accarezzano il vento
con il loro volo.
E rivedo te , mamma,
le tue dolci parole
riempiono la mia anima.
Ricordo il tuo abbraccio,
il mio ultimo rifugio
di bimba capricciosa.
L’allegria dei tuoi occhi
mi riporta in un passato
ormai lontano,
quando la vita era ancora
una favola eterna!
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