Al volante dell’automobile la vidi, d’un tratto, nei monti lontani ancora bianchi di neve: era la sua scollatura generosa che scendeva, bianca, dal collo slanciato per offrire gli omeri ed il solco tra i seni, forse un canalone nel quale il disgelo era già cominciato; poi notai quelle colline, quasi delle montagnole simmetriche, su cui due case coloniche, con la loro corte di alberi isolati ed i comignoli, evocavano i suoi capezzoli, irti sulle mammelle floride e fiere; la trama delle stradine, sinusoidali per la salita, bordate di cipressi, disegnava sul versante la linea dei suoi fianchi; e, sul piano più ravvicinato, due campi verdi d’erba, ravvivati dalle ultime piogge, intrecciavano le loro textures come due cosce; m’incantai davanti alla macchia triangolare che si era formata intorno alla piccola forra centrale ed al laghetto artificiale, per l’irrigazione.
Un delta vegetale che suggeriva passeggiate, esplorazioni e soste deliziose.
Dovetti fermare l’auto e stropicciarmi gli occhi; ma lei era ancora lì, la mia donna paesaggio.
Soffri, forse
al pensiero invadente
che nulla,
nulla rimarrà
nel ventre dell’amata
a ricordare
che hai vissuto.
Ancora non sai
che tante
tante volte
partorirai
creature strane
a ricordare in eterno
che hai amato.
Non si sa cosa sia, un altro mondo fatto di immagini a compasso. Preciso nell’espressione, riflessivo, di strade camminate. Un mistero di colori che non si chiariscono a parole.
E non importa se la notte giri intorno a nuove ore, che il buio si rallegri.
Nuove le dita appena forti per imprimere l’orgoglio di rifinire i contorni. Nuovi anche i sospiri per non riuscire a leggerlo.
Di fronte, appena oltre un confine di terrazze, e non dorme.
Di regali come questi il mare ne concede, basta solo non urlarglielo quel grazie.
Rimani dove l’erba appena tagliata
ci ha visto bambini,
dove stelle alpine delimitano pascoli
e rivoli di latte,
dove le vette rosa raccolgono
il tuo profumo.
Non ti muovere,
resta in un mare ancora basso
che ti può giocare
e in onde che raccolgono sabbia
per costruir scrigni.
Non ti muovere,
perché nell’ aria ti possa incontrare
e il tuo suono possa mostrarmi il cammino.
Di quando irrompi, vento.
Tessuta d’aria e niente.
Un inganno che non mente.
Di quando bisbigli, canto.
E mi porti fino al pianto.
Merlettandomi di Te.
Di quando sei silenzio, attesa.
Una promessa mai baciata.
Ma non ti tocca, la mia resa.
Chiedo scusa, se parlo di Poesia.
Chiedo scusa, se parlo della mia.
So dove abiti. Potrei appostarmi, guardarti di nascosto. Con l’abilità di una stalker potrei annotarmi tutti i tuoi spostamenti Ma non lo faccio. Non sono una persecutrice. E poi le telefonate . Niente di volgare.. qualcosa del tipo: “Ti ho visto ieri, senza maglietta… Hai questo bellissimo colorito dappertutto… Fai la doccia solare? Ah, non sai che cos’è? Dunque, è una cabina, dove tu entri ti spogli e… Ah, prendi il sole facendo il bricolage in cortile?” Questa telefonata sta prendendo una piega tutt’altro che sexy. Sembra un dialogo tra due compagni di scuola dodicenni. E allora avevo pensato di ricorrere a qualche espediente erotico, per non darti scampo. Un salto al sexy shop più vicino: top e mini di pelle nera… e le calze, naturalmente. Agli uomini piacciono le calze nere e quindi piaceranno anche a te. Gli stivali, poi, imprescindibili: una donna normale con gli stivaloni si trasforma immediatamente in una strafiga – così ci si esprime, nella nostra società -. Una nuvola di profumo, discreto ma sensuale. E poi qualche oggetto utile, non so, panna spray con le fragole, magari un paio di manette per fare un po’ di scena. Per il resto basto io, non mi serve roba strana. “Ciao! Ti trovo bene! Hai un aspetto… brillante!” (Ci credo, due ore dall’estetista e una dalla parrucchiera…Meno male che il risultato un po’ si vede!) – “Bella, questa maglietta con Titti il Canarino! Fammi leggere cosa c’è scritto…” – “Te lo dico io, che cosa c’è scritto” – ora che prende gli occhiali facciamo notte. “ Allora, dice così: “Do you think I’m… “ “ Ecco, ora la vedo bene, la frase finisce con la parola “sexy”. Hai fatto altri acquisti… Che cos’è quella roba pelosa che sbuca dal sacchetto? Sembra un paio di manette… Di pelouche…” (Si gratta la testa un po’ perplesso). – “Sì, le ho comprate per fare uno scherzo a una persona che conosco.” Intanto nascondo in fondo al sacchetto gli altri oggetti, saluto – scambio di bacini – e vado via. Niente male per un “bottino” proveniente da un sex shop. L’ultimo grido in fatto di sexitudine, proprio… Maglietta buffa, profumino solido “ Vaniglia e crostata di pere”, set di condom a forma di testa di Topolino…. ( Non saranno scomodi, con tutte quelle orecchie?). Sob! Mi sembra di avere fatto la spesa a Paperopoli!). Devo escogitare qualcos’altro. “Hai fretta o puoi aspettare dieci minuti?” “Si, posso aspettare”. Si siede e attende con pazienza. Chiude perfino gli occhi. Perfetto. “Tanti auguri a teeeeee!”. “E’ un giallo! Grazie! Come facevi a sapere che mi piacciono i gialli?” Rimango un po’ perplessa. Mi ha raccontato praticamente tutta la sua vita la terza volta che ci siamo visti e ora non ricorda più niente. Strano, con una testa così grossa! Mi saluta. Lo guardo infilarsi il casco e salire in moto. In pochi secondi è già lontano. Mi pare di non aver fatto molti progressi neanche questa volta. E ora, che cosa faccio? Sarà timido o indifferente? Potrei non scoprirlo mai. “Ciao, come stai? Vai di fretta o puoi salire un momento da me? Voglio farti vedere una cosa.” Forse la faccenda comincia a prendere una piega interessante! “No, non ho fretta. Certo che salgo, figurati”. “Che bella casa, complimenti! Proprio come piace a me: pochi mobili essenziali e tanto spazio. Sì, non ti preoccupare, ti aspetto qui! Torna presto, mi raccomando! “Ma … che cosa ti sei messo?” Mi avvicino per guardare meglio. “Un paio di mutande di pelliccia? Te le ha prestate Fred Flintstone? Ah, le hai comprate al sex-shop della Stazione, capisco… Quello in via Nonna Papera angolo Piazza Qui Quo Qua. Abbiamo lo stesso fornitore, il ché spiega alcune cose. Ah, te le hanno espressamente consigliate per queste occasioni, effetto garantito? Beh, un effetto lo stanno avendo sicuramente…. Mi sto sbellicando dalle risate!!! A questo punto abbiamo due possibilità: o ti togli le mutande oppure ti rimetti i pantaloni!” “Come dici? Ti ci sei già adattato e le trovi comode? Capisco. Si, sto andando via. No, non accompagnarmi, conosco la strada….” Ci vediamo alla prossima – si fa per dire – trovata sexy!
(Versione sintetica del racconto Yin-Yang, Notte-Giorno, Donna Uomo pubblicato per Ennepilibri Edizioni – Imperia 2012 – nella raccolta Tra il fragore del treno e del mare – Racconti brevi e poesie di Patrizia Destro).
Trepide onde ruggiscono all’orizzonte,
sulla sabbia petali di rosa accarezzati dal vento,
sotto un cielo blu gabbiani d’argento volteggiano al sole.
Si intrecciano emozioni e colori in un’istante senza tempo.
L’odore della lampada ad olio si diffondeva per il soggiorno del cascinale, i passi del fattore facevano scricchiolare le assi di legno sul pavimento nel corridoio d’ingresso; indossava stivaloni polverosi e sporchi di sterco, nella mano sinistra il secchio con il latte appena munto; la sua signora, con un figlio in arrivo, era raggiante, i lunghi capelli neri gli si posavano sui seni gonfi e pronti, preparava lo spuntino di metà mattina per il suo uomo che si prestava ad iniziar la giornata.
Era la primavera del 1920 in un piccolo paese delle Murge, in provincia di Bari e il sole non era ancora sorto.
Su per lo scollinamento che portava alle campagne un gruppo di mezzadri andava incontro ai colori dell’alba, sulla sinistra un campo di girasoli vangogghiano incantava i passanti che canticchiavano vecchie storie di briganti nel dialetto locale, sulla destra i vigneti violacei e gli ulivi secolari emanavano un profumo che si spargeva fino alle case del piccolo borgo.
Francesco lavorava per un ricco possidente della vicina Canosa, potava l’uva, raccoglieva le olive, usufruiva del podere, coltivava il grano che la moglie, Marianna, come per magia trasformava in pane; intorno all’ora della semina Marianna stava per raggiungere il suo sposo, un raggio di sole asciugava il sudore sulla sua fronte, un lieve vento faceva danzar la sua chioma come una danzatrice giapponese, quando il suo viso strinse le guance in una smorfia di dolore.
L’inquieto frutto dell’amore iniziava a farsi largo e, nell’arco di un paio d’ore, emise le sue prime parole: due striduli gemiti che non potevano che essere un incantevole pronostico
Mi chiamo Patrizia, sono nata a Milano (Hinterland) nel 1965, quasi mezzo secolo fa… Brrrrr, che impressione! Ho iniziato a scrivere a diciotto anni e poi da adulta ho pubblicato due libri. E’ stata un’esperienza appassionante e formativa (quanto lavoro c’è dietro ad una pubblicazione!). Mi occupo di benessere (Shiatsu e Medicina Tradizionale Cinese). Precedenti occupazioni (elencate alla rinfusa): riscossione tributi, lezioni di lingue, volontariato, addetta ristorazione, attività culturali, commessa di erboristeria, assistenza clienti, attività sindacale di base, operatrice socio-educativa). Nuoto e trekking da più giovane, yoga e camminare nella maturità. Cerco di dare le risposte che mi paiono più adeguate alle richieste dell’esistenza Di recente ho scoperto che mi piace far ridere, attività difficile che però, quando riesce, è di grande appagamento.
Ad infiammare la passione
non furono corpi armonici
sguardi sensuali
smaniose carezze,
fu piuttosto l’intensità
di occhi negli occhi
filo di ferro a tracciare
solchi
in anime nere
dalla verità dell’amore
sbiancate.
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