Nel giardino, una rosa solitaria, sopravvissuta all’inverno, si gode la tregua notturna che i gatti hanno firmato con la volpe.
Negli appartamenti, gli adolescenti hanno smesso la loro aria saccente ed impermeabile a qualsivoglia evento terreno.
La ragazzina dagli occhiali rossi era una di loro.
La musica assordante nelle nostre orecchie addormentate, annunciava il suo risveglio.
Il giardino, ricoperto di petali, annunciava il suo passaggio; poche fragole hanno avuto il tempo d’arrossire: troppo invitanti quei fiorellini bianchi… e le more: che bontà mangiarle acerbe!
La ragazzina dagli occhiali rossi non distribuiva sorrisi e carezze di circostanza.
Erano preziosi per chi li riceveva, perché lasciapassare nel suo mondo.
Un mondo ricco di passioni… tanta vita nella sua testa e nel suo corpo, che il suo cuore a volte dimenticava d’essere malato.
Eppoi… gli scatti d’ira: scompariva contrariata e sorda ad ogni mediazione per poi tornare poco dopo sorridendo per ricominciare a mangiare la fonduta insieme a noi.
Era il rituale della nostra piccola tribù, festeggiavamo così ogni progresso ed ogni ritorno a casa dall’ospedale.
Anche questa volta ci credevi, più forte della morfina era il tuo desiderio della prossima vacanza.
Progetti e ancora progetti… anche quando hai detto ” Maman c’est difficile!”, sono sicura che stavi pensando al futuro.
Sono nata in un paesino del Salento quando non era di moda
e a malapena noi sapevamo d’esser Salentini.
Ho fatto la figlia per corrispondenza fino alla fine delle scuole Elementari: i miei lavoravano in Svizzera ed io son cresciuta con i nonni paterni e cinque zie, sarte e ricamatrici.
Le scuole medie coincisero con il ricongiungimento familiare; mio padre, per mettere al riparo me e mio fratello da episodi di razzismo, era il 1970, anno dei referendum anti stranieri, ci iscrisse ad una scuola privata italiana a Losanna; scoprii così, dall’oggi all’indomani, d’essere meridionale, straniera e povera. Finito il Liceo…Firenze (1976/1987). Politica, Università ( Storia del Cinema) mai terminata, amori, dolori, ed in extremis un diploma ” alimentare” in arredamento. Ancora una volta, la vita scelse per me e mi trovò addirittura un lavoro senza che io lo cercassi: a Ginevra! Ci dovevo rimanere un mese, per racimolare i soldi per una vacanza in Grecia e pagare qualche bolletta arretrata, ed invece da un mese sono passati 28 anni.
Ho un figlio sedicenne, che ha ben capito che se l’ho avuto a 40 anni, non è stato perchè fossi una donna in carriera, ma perchè, mentre preparavo le valigie per tornarmene ancora una volta in Italia, incontrai suo padre.
Chiudo gli occhi e nel profondo della mia memoria cerco.
Quando mi prende la malinconia è nei ricordi che trovo consolazione.
Mi rivedo bambina, col vestito della festa pronta per andare a messa; mio fratello aveva l’impegno gravoso di accompagnarmi.
La messa, un’ora assorta ad ascoltare parole di bontà e speranza.
Che fine hanno fatto bontà e speranza?
Perse tra egoismi e indifferenza.
Poi il solito rito: comprare qualche caramella.
Il pane e i dolci erano compito di mio fratello.
Se mi sforzo sento ancora la fragranza del pane ancora caldo. Mi inebriava più dei dolci.
Poi il ritorno a casa, quasi Via Crucis; come Cristo, diceva mamma, avevo le mie stazioni: Jeanne, la signora Dabard o la signora Plisson. Due chiacchiere con tutte e tornavo a casa felice, con la loro carezza sul viso. Hanno illuminato, della loro tenerezza per me, una non semplice infanzia.
Ancora adesso abitano il mio cuore.
Ed era il pranzo della domenica ad aspettarci col tavolo preparato a festa. I fiori sul tavolo, la tovaglia bella, era come ricercare una normalità dove normalità non c’era.
Però non la cambierei per niente al mondo.
Abbiamo ricevuto l’unica cosa importante: l’amore dato a iosa e un cuore di madre fiero dei suoi figli.
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