Questo silenzio
come pietra
levigata dal vento
immobile
continua ad assorbire
voci confuse
distanti
senza germogli
di vita.
Amico fedele
resta
nell’ombra della sera
che cala
e nell’alba pigra
che tace.
Quando mi cercherai
e gli occhi saranno stanchi
saprai che t’ho amata
A modo mio
Uno strano
stronzo modo
In alto i calici
che per i cuori
non è più giorno
Brindo
a ciò che resta
del mio tempo.
Che strana età è quella di mezzo.
Sei come un ciclista che ha scollinato e si gode la discesa.
Ed è bellissimo filare così veloce, con i capelli al vento.
Segno che ce li hai ancora, belli folti come tuo padre.
E poi i chili in più non sono un ostacolo. Ti fanno anzi correre più veloce.
E’ vero che, però, nella discesa vedi il traguardo. Ma è ancora lontano.
E allora ti godi la pedalata sino a quando non dovrai, con fatica, sostenere lo sprint finale.
Sperando che all’arrivo ci sia la folla trepidante.
E, poi, una bella festa.
E, soprattutto, che ci siano quelli che ami.
Che hai amato.
Che ancora devi amare.
Non so se aver amato
fa di me una donna.
Sola in mezzo al niente
ripercorro solchi sul mio corpo
e tremo al ricordo delle tue mani
che sapientemente hanno scavato.
Mi basta averti amato,
in un giorno, una vita.
Avrebbe voluto avere un figlio, qualcuno in cui specchiarsi e a cui perdonare errori e
rivivere tutti i suoi difetti, quelli che suo padre ricordava sempre e che sua madre, invece,
cercava di coprire.
Avrebbe voluto amare tanto una donna da operare con lei quella magia d’amore, gioendo del suo ventre grasso e rotondo da cui percepire un piccolo battito di cuore.
Aveva ormai perso la speranza di non essere scordato.
Fu quando mi confusi agli altri, quando mi invischiai nel loro odore, nel lezzo di sudore, rabbia, paure, che mi sentii uno tra i tanti. E capii che non serviva a niente sentirsi…
Dio, la legge, la giustizia, dalla propria parte; e che era stupido e meschino chiamarsi fuori, credere sempre di avere la ragione in tasca ed il consiglio giusto per ogni disputa e stagione.
Tirai fuori quel mio guanto nero e chinato il capo, lo alzai al cielo: non so se per chiedere vendetta od un qualche perdono.
Mani che esplorano
Un corpo desideroso,
In punti che nemmeno sapevi d’avere…
Mani che stringono,
Impedendoti di fuggire
Da cordini bagnati..
Mani che ti accarezzano il viso sopraffine,
Dove occhi si perdevano teneramente…
Quando c’eri tu.
Mi temevi
E ti piaceva…
E penso…
Penso di sbrigarmi
Chè non è il mio posto
Non sei la mia donna..
È la mia anima
Che vola troppo alta,
Rendendoti un oggetto
Per puro sfogo mio.
Rimango seduta all’ombra dei miei ricordi,
come una farfalla silenziosa,
osservo la mia vita che trascorre
e d’un tratto rivedo il rinverdire della mia giovinezza.
Guardo il cielo, il mare,
gli uccelli che accarezzano il vento
con il loro volo.
E rivedo te , mamma,
le tue dolci parole
riempiono la mia anima.
Ricordo il tuo abbraccio,
il mio ultimo rifugio
di bimba capricciosa.
L’allegria dei tuoi occhi
mi riporta in un passato
ormai lontano,
quando la vita era ancora
una favola eterna!
Archivi
- Ottobre 2017
- Settembre 2017
- Luglio 2017
- Maggio 2017
- Marzo 2017
- Febbraio 2017
- Ottobre 2016
- Settembre 2016
- Agosto 2016
- Luglio 2016
- Giugno 2016
- Maggio 2016
- Aprile 2016
- Marzo 2016
- Gennaio 2016
- Dicembre 2015
- Novembre 2015
- Ottobre 2015
- Settembre 2015
- Agosto 2015
- Luglio 2015
- Giugno 2015
- Maggio 2015
- Aprile 2015
- Marzo 2015
- Febbraio 2015
- Gennaio 2015
- Dicembre 2014
- Novembre 2014
- Ottobre 2014
- Settembre 2014
- Agosto 2014
- Luglio 2014
- Giugno 2014
- Maggio 2014