Muoveva le mani con grazia,
Francesca amava prendere il vento,
era una ragazza bellissima,
capelli lunghi neri,
occhi scuri, dolce sorriso.
Mare d’inverno,cielo grigio,
piedi nudi cercavano giochi.
Un padre seduto in riva al mare,occhi forti,mani a proteggerla.
Francesca era chiusa nel suo autismo,
Francesca era libera nel suo vento.
Me ne accorgevo negli occhi di mio figlio,
quando la sera mi sorrideva piano.
Leggevo amore e tenerezza,
opacizzata da mani
sempre troppo piccole
per accarezzare.
Soffiavo nei vetri vuoti
che erano a rendere.
Sniffavo i profumi di un alba
che mi moriva tra gli occhi.
Reggevo la linea del parallelo
in perfetto equilibrio.
Calava anche la luna nel mio abisso.
Sfiorivano i narcisi raccolti primavere avanti.
Ora avevo radici da proteggere.
E petali da spargere nelle ore.
La pioggia non ha retto,
io guardo finalmente il cielo terso.
Le nuvole sono in viaggio altrove,
l’aria si è fatta ferma e
tiepida la terra sa di erba.
Di nuovo prorompente è primavera.
E ora che si fa sera
dalla collina sfumano
le luci morendo dolcemente
verso il mare
e allora prepotente dentro sale la voglia
di ritornare ad amare.
I poeti son bugiardi,
rubano primavere.
Respirano tramonti,
fumando giorni interi.
Non amano che lucciole,
nei giardini del pensiero,
e dondolano su amache
sospese tra secche dune.
Non conoscono il tempo,
ingoiano notti, per non perderne
il sapore, e sono felici,
solo con il loro dolore.
In quell’ angolo della sera
Capriccio delle stelle
Nell’incrocio d’una ruga
Sensibilità del nervo
che porta piacere
Fatti dare un morso
nella voglia di te che mi assale
senza paura del domani,
dono in un racconto di fiabe.
Fatti dare un morso,
nello sfiorar le labbra
dove il grano prende il suo profumo
Leggero e delicato, forte ed insano.
Fatti dare un morso,
leccandoti il cuore,
nel “ti amo” del mattino.
Un circo di vita, solo per gioco, solo per l’effimero.
Fatti dare un morso,
mentre mi fai l’amore,
tra la folla urlante di poesia.
Ti prego, dammi un morso… che dopo tante cazzate,
posso anche svegliarmi.
Nata in una cittadella della provincia di Bari, feci i miei primi mille km a cinque mesi per raggiungere la mia città adottiva: la mia adorata Torino, la gran madre che mi ha vista crescere e diplomarmi nel più prestigioso istituto tecnico della città. Ho un cuore granata e la fierezza di un toro.
Mi piace leggere, scrivere, nuotare e cucinare.
Odiata, amata, per la mia franchezza e lo sbattere in faccia verità anche scomode.
Tuttavia la terra natia urlava forte e attualmente risiedo in Puglia.
Sara ha paura del cielo.
Vive chiusa nella stanza numero undici, in compagnia della sua solitudine. Protetta dalla sua pazzia.
Nelle orecchie, costante, l’assordante rumore di un pianto.
Il pianto della sua bambina.
Sara dipinge, ogni giorno.
Il quadro è sempre lo stesso.
Una donna, che le somiglia, osserva il mare, calmo.
Sull’acqua, galleggia una culla capovolta.
Dal cielo scende, leggera, una pioggia di lacrime rosse.
Sara ha paura del cielo.
Ho masticato del bollito che sapeva di gomma,
con una salsa alla menta,
ottimo per farci le bolle.
Ho camminato a piedi
sotto una pioggia fastidiosa,
che non ha nulla di romantico,
in una città grigia
dove l’unico colore di freddo metallo
è il rosso delle cabine e degli autobus
e dove una parvenza di calore
è la luce gialla dei lampioni,
circondata però dall’alone cupo
di una nebbia fumosa.
Forse la colpa è solo del mio umore tetro.
Vorrei poter rallegrare quest’aria con un tuo sorriso.
Sono nato a Sucy, poco fuori Parigi, 59 anni fa.
Attualmente vivo nella capitale, dove lavoro.
Sono un ingegnere edile.
Amo la musica classica e l’equitazione.
Credo che il cavallo sia stato il mio primo amore, prima che arrivasse l’età per amare una donna.
Sono sentimentalmente impegnato e molto geloso della privacy.
Il mio nome è Mattia. Faccio il pescatore. Come mio padre ed il padre di mio padre. Le mie mani sanno sentire il mare e questa terra che amo e che odio perché è così che accade. Me l’ha insegnato mia madre coi suoi fianchi e seni generosi e la voce leggera come il vento quando non fa male. Sono state le parole di mia madre a salvarmi e le sue dita piccole tra i miei capelli. Mattia – diceva – anche coi piedi nella terra e le mani di mare puoi imparare a volare. Mio padre invece è un uomo silenzioso come i pesci che cattura nelle reti cucite da donne coi capelli raccolti dentro veli di pizzo nero Ha gli occhi piccoli come ferite senza sentire il dolore della vita. Senza sentire il mio pianto. Ma l’anima scalciava … Il mio nome è Nunzia. Mi piace. Mi piace chiamarmi. Tra la “u’ e la “enne” allungo le labbra e bacio il primo odore portato dal mare. Il mare può incatenare come la terra che ti genera. Ecco perché bacio gli odori che si dissolvono e non ti stringono Cucio reti coi capelli raccolti in un fazzoletto bianco. Come una sposa. La sera, indosso un vestito leggero e mi trucco con cura. Trucco questi occhi piccoli come ferite. Come mio padre. L’odio e la rabbia che si sono trasformati in Amore. Madre, anche coi piedi radicati in questa terra ho imparato a volare. E l’Anima non scalcia più
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