Senza pietà
affondare le mani
alla gola di un mostro
chiamato ipocrisia
fino a vederlo stremato
e pianto dai suoi seguaci
sempre alla ricerca spasmodica
di una vittima designata
su cui sfogare
le proprie frustrazioni
destinate ad infrangersi
come bicchieri di cristallo
che inesorabili si schiantano
su muri di indifferenza
che pian piano si innalzano
di fronte alle loro azioni.
Il battito automatico, il respiro affannato,
la corsa senza traguardo,
costante ostinata di speranza
consunta e ormai abbandonata.
Piango.
Un vento inaspettato asciuga lacrime preziose e rare,
le getta nel mare, le aggiunge al suo sale.
Presto l’onda si gonfia immodesta,
biancheggia, diventa tempesta.
Mi scuote, mi colma con la propria potenza.
Respiro.
Stringo forte le mie mani, chiudo piano i miei occhi.
Trattengo le sue mani calde, accolgo sotto le ciglia i suoi occhi.
Finalmente vedo, ci riesco di nuovo,
travolta da un abbraccio, trafitta da un sorriso.
Vivo.
In questa ora che non è tempo, ma squarcio d’infinito,
ascolto la dolce confusione del mio palpitare.
Odo nitidamente, sento profondamente,
intensamente amo.
Sono.
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