Le donne sono l’arcobaleno della vita, vivono di sfumature cercando le tinte forti ma sanno conoscere il colore delle ombre dove spesso si nascondono.
Hanno il colore della generosità quando si tratta di donare ed esprimono il colore della dolcezza quando qualcuno le ama.
Spesso si colorano di contrasti perché la vita in questa società frantumata non garantisce sicurezze.
Creano il colore della fantasia, a loro è richiesto di costruire le favole dove gli uomini possono sognare e i figli crescere con un sorriso.
Il colore più bello è quello intimo dove ogni donna si rifugia e quando lo fa conoscere ha le mille sfumature dell’infinito.
Occhi sbarrati
fissano soffitti
che come per incanto
si trasformano in pagine.
Frammenti confusi
di vita vissuta
si mescolano a consigli
che la notte porta in seno.
Campo di battaglia
è il dolce giaciglio
che inerme subisce
tormentati gesti.
Nel passare degli istanti
il buio si assopisce
lasciando ad una nuova alba
un risveglio solo sognato.
Sempre all’esistere
si prostra l’anima,
sui rami l’odorosa zagara,
nell’aria tutto un olezzo
e la luna d’argento
ad accendere i fiori
d’un candore superbo.
Un odore accecante…
mi dolgono gli occhi.
Sono Stefania, ho 28 anni e sono di Messina, ho molteplici interessi ed abbastanza capacità per poterli ipoteticamente perseguire (quasi) tutti e questo mi porta a non riuscire a scegliere, a non mettere nulla sul piedistallo dell’elezione, anche perché mi stanco anche facilmente delle attività ripetitive che da piacere cominciano a trasformarsi in dovere; sarà per questo che la mia prima esperienza universitaria (nel settore della storia dell’arte) si è dimostrata fallimentare – ne ho appena intrapresa un’altra (giornalismo), e “io speriamo che me la cavo”.
È sempre difficile parlare di sé, si rischia di passare dalla falsa modestia all’eccesso di autovalutazione, leggasi come arroganza o poco senso dell’oggettività, di me posso dire, che ho una predisposizione naturale al “bello”, idea di bellezza intesa quale armonia che è cosa diversa dalla perfezione, e questo si declina nei più svariati settori, dal come abbinare le scarpe alla borsa, alla scelta di un quadro, all’effetto fonosimbolico di un verso in cui l’uso di un termine rispetto ad un altro può determinare una differenza abissale. Sì, tra le altre cose credo di avere un rapporto privilegiato con la parola, sin da piccola ho dato prova di questa attitudine, ho un rapporto intenso con l’uso dei termini, e quindi sono alla costante ricerca della parola appropriata, di quella che si avvicini quanto più possibile al pensiero che l’ha generata, nell’intento di restituire in maniera “fedele” tutte le sfumature, talvolta, tendo alla logorrea, per fortuna poi sono abbastanza pigra e per dei periodi mi esprimo a “risparmio energetico”, può dare conferma di questa cosa il Signor Vacchina(che non sono certa si chiami così) che mi ha invitata su questo gruppo, e che mi ha spesso “rimproverato” una certa prolissità, una eccessiva concettosità, infatti pensavo che l’invito a “Sintetizziamoci” potesse essere quasi punitivo .
Giusto per non andare troppo oltre, ché sennò divento eccessiva, mi piacciono oltre che le cose “belle”, le cose antiche – a tal proposito faccio parte di una compagnia rinascimentale con la quale sfilo in qualità di dama nei cortei storici-
Amo molto l’arte, ma credo che laurea a parte, si potesse intuire, amo il cinema, gli animali e la poesia, che è il motivo per il quale mi trovo iscritta a questo gruppo, naturalmente, questa non è che una sintesi, non è che un pescare quasi a caso tra le mie passioni, era giusto per dare uno schizzo, spero non troppo noioso.
Cadono le foglie come ali di angeli vecchi, bruciacchiate come pane al forno, profumano di pioggia e terra bagnata.
Cadono lentamente, in un volo insensato che dura un pò; quel volo senza scopo segue il filo ribelle dei pensieri che si intrecciano a ricordi prepotenti bruciati di nostalgia. Foglie brunite che incantano con una danza inattesa ma sono morte. Cadono come soldati al fronte, come vite spezzate troppo presto o logorate dal cammino.
Cadono in questa stagione incerta come la vita e ricordano il senso dei primi grigiori del capo, dei solchi sul viso, dell’inverno incipiente che tutto ferma in un solo ciak in bianco e nero. Sono morte e cadono, prive di anima e vita, danza d’inerzia, di ineluttabile gravità.
E noi a guardare, e senza capire, a calpestare quello che vogliono dire.
Sta arrivando il momento giusto
non più caviglie calpestate
solo casquet emozionati.
Basta tormenti di pellicine
tempo di sorrisi e melagrana.
Ora che sei dittongo della mia vita
oltre le rughe godo la tua bellezza.
Mi abita il sorriso in ogni suo forma,
ne sono colmi i miei occhi, la mia bocca, il mio cuore,
i miei passi sicuri mentre attraverso, incerta, la vita.
Contraccambia, timidamente educato, il mio profondo sentire.
Vola alto, bacia la luna, socchiude gli occhi al sole,
mi scruta attento. Gli cade una lacrima.
Sento la sua carezza lieve, abbasso gli occhi,
è un attimo.
Nascondo il dolore e sorrido,
ancora.
Picchietti tediosa su vetri appannati
ci fai prigionieri di pensieri annoiati.
Danzi beffarda su tetti supini
inzuppando le chiome degli alberi chini.
Sgorghi impetuosa da un cielo arrabbiato
prendendo a secchiate il passante avvilito.
Affili le grinfie nelle nuvole gonfie
e vieni giù lesta a guastarci la festa.
Per noi che sognamo con tutto il cuore
terre assolate e mandorli in fiore
invadente compagna
sarai alfin scalzata da un cielo azzurro
e da una calda risata.
Dove lavoro c’è un branco di cani randagi che terrorizzano il paese.
Con tutto quello che si sente in tv, di persone dilaniate e sbranate dai branchi, la gente scappa, urla e protesta e vuole abbatterli.
Una sera facevo il turno di guardia (sono medico) ed ero fuori a godermi il freschetto.
All’improvviso dal cancello entrarono 5 cagnoni, tutti grossi, tutti randagi; si avviarono subito verso di me a passo lesto. Io rimasi impietrito . Non avrei avuto il tempo di entrare dentro. Stetti immobile . I cani mi circondarono e mi annusarono. Sudavo freddo, avevo paura che il mio minimo gesto scatenasse il loro attacco. Il più grosso, quello che sembrava essere il capobranco, mi guardò fisso negli occhi, poi col muso spinse verso di me un cane tutto bianco e molto smagrito. Questi aveva il dolore negli occhi, lo si vedeva subito.
Molto timidamente e con la coda in mezzo alle gambe mi poggiò il muso sulla gamba, guardandomi con occhi imploranti. Azzardai una carezza per farmelo amico e gli diedi un biscotto che avevo in tasca.
Lui cominciò a leccarmi le mani e più lo accarezzavo, più mi strofinava il muso sulla gamba.
Voleva che continuassi, voleva le mie carezze.
Gli altri cani si misero a cerchio e si sdraiarono per terra, come se aspettassero qualcosa.
Solo il capo branco si avvicinò al cane bianco e gli leccò l’orecchio. Continuammo così per un bel pò, io lo accarezzavo, il capobranco lo leccava e gli altri seduti a cerchio.
Fino a quando anche il cane bianco si sdraiò e fece come per dormire.
Dagli ululati strazianti degli altri cani capii che era morto.
Io rientrai dentro e loro me lo permisero.
Rimasero attorno a lui tutta la notte, ululando di tanto in tanto.
Quel branco mi aveva portato un cane moribondo per fargli avere il conforto di un umano prima che morisse.
I cani hanno bisogno degli uomini e delle loro carezze.
Da allora la parola branco non mi spaventa più.
È nelle sere di cielo limpido e ventoso che si comincia a vedere più chiaro anche in sè stessi, e molto viene a galla, molto di poco pulito.
Si avvertono più crude le assenze – tu, dove sei? Ti avevo creato per restare ad abbracciarmi, come hai potuto disattendermi? – ma al tempo stesso sai che non è importante: quel dolore lì non fa più male, e se lo fa è una finta.
È una fessura sorda, riempita di lucidità e sensazioni nette, di abitudini nuove – sei talmente cambiata che hai deboli ricordi di ciò che eri. Aggrappata, era un buon aggettivo.
L’aggettivo di oggi è “vigile”, oppure “ricettiva”, nel senso di animale all’erta.
Ti scorrono risate nella gola, e subito dopo stringi i denti di paura o di rabbia, poi non puoi fare a meno di accarezzare un gatto.
Te ne fotti del senso, questo è il bello…
L’idea di direzione è sparita per sempre – qui, lì, là in fondo: segnali appaiono solo all’ultimo istante – credevi fosse un danno, sbagliavi, è il caos normale.
Così ti abbracci, nella sera ventosa, e in questo abbraccio molti sono riuniti, in quell’idea strana di amore che t’è venuta ora.
Così dici “ti amo” a tutte le benevole presenze che ti affollano e che ti invitano a vivere ancora, ancora ed ancora.
Archivi
- Ottobre 2017
- Settembre 2017
- Luglio 2017
- Maggio 2017
- Marzo 2017
- Febbraio 2017
- Ottobre 2016
- Settembre 2016
- Agosto 2016
- Luglio 2016
- Giugno 2016
- Maggio 2016
- Aprile 2016
- Marzo 2016
- Gennaio 2016
- Dicembre 2015
- Novembre 2015
- Ottobre 2015
- Settembre 2015
- Agosto 2015
- Luglio 2015
- Giugno 2015
- Maggio 2015
- Aprile 2015
- Marzo 2015
- Febbraio 2015
- Gennaio 2015
- Dicembre 2014
- Novembre 2014
- Ottobre 2014
- Settembre 2014
- Agosto 2014
- Luglio 2014
- Giugno 2014
- Maggio 2014