Poco o nulla,
innanzi a te vasto mare,
che sbatti incompreso
e poi ritorni.
Ho visto vuoto il mio
scoglio tra i tuoi versi,
e la tristezza soffocata
dai tuoi flutti.
Voglio tornare anch’io
per sempre, e questo
fiore lo dono a te e al
mio pensiero.
Mezzaluna Crescente
Va’ da lui
Digli
che anch’io sono mezza
che la mia imperfezione è senza veli
che la mia perfezione è senza dignità
Va’ da lui
Digli
che ogni essere sulla nuda terra
ha due facce – come te –
una sempre a fronte
l’altra che giace nell’oscurità
Va’ da lui
Digli
che ogni vita fa il suo giro e poi ritorna
aggrappata alla mano infinita della sua
circolarità
Va’ da lui
Guardalo fisso nei diafani occhi defessi
perché possa Narciso specchiare
nei tuoi ondulati riflessi –
tra seduzione e inganno –
la sua ambigua bellezza
e voluttà
1° classificato alla Sintogara
Spira basso il Vento
accarezzando paterno la sua Terra
che ad ogni suo sospiro
ingoia polvere e lacrime
di un mondo alla deriva
E noi stessi, i figli suoi,
cellule impazzite o
navi senza rotta ,
insistiamo a straziarle il cuore,
ignari e dimentichi
dell’armonia dell’universo.
2° classificato alla Sintogara di settembre 2014
Vivono
in disarmo
in un
angolino
segreto,
tra cuore
e ragione.
Vestono
le sembianze
di una foglia
che sfugge
a coprir
la distanza
di un bacio
mancato.
Si affacciano
incostanti
oltre il confine
dell’autunno
che cade a
strapiombo
sull’anima.
E a volte
precipitano,
stremati
dal viaggio.
Urlando
sempre
senza voce.
3° classificato alla “Sintogara”
Sono stato amato
granello partecipe
Precipito
In quella clessidra
Con i colori della
Memoria mia effimera
Lui ora la capovolge
E possibilità mi perdona
Ho ritrovato un nuovo senso.
Dipinse un arco nel cielo
Con baleni di luce e colori
Legò gli estremi
con corde intrecciate di dolori e amori
Tese l’arco
Scoccò una freccia verso l’infinito
Troverà il suo sole.
Parliamoci. Guardiamoci negli occhi, smettiamola di fare finta e di cercare sempre un contraltare,
un avversario contro cui poter sfogare le nostre rabbie e malumori accumulati; su cui riversare quanto di noi, a noi stessi, non va bene, non ci piace.
Ben oltre quegli, spesso sdolcinati, “Mi piaccio, mi amo come sono”;
da soli, gia’ lo sappiamo e bene, che essere “un altro”, non conviene, che non sapremmo farlo.
A meno di perdere ogni ricordo ‘nostro’, memoria, sembianza, di cio’ che siamo e abbiamo dato o avuto. Ma che senso avrebbero poi, altre vite, se le precedenti non ci avessero potuto insegnare nulla, lasciare nulla, se non come fa un sogno o un film…; se delle altre non potessimo serbare ricordo o traccia?
Per noi sarebbe sempre la prima volta, la sola vita, da vivere come sappiamo e possiamo.
A volte un trascinarsi stanchi, altre, un volare liberi e sicuri, spesso, a sbattere a muso duro, contro pareti e muri.
E peggio ancora, sarebbe avere altre vite, ricordando questa, quello che eravamo e far confronti, associazioni, distinguo, ma, pero’, chissa’.
Sarebbe un rimpiangere quello che non e’, quello che era o che avrebbe potuto; sarebbe una croce in piu’ da portare, che frenerebbe passi e slanci, una zavorra che ci terrebbe “al palo”.
Se solo sapessimo accettare un po’ di piu’ gli altri e gli altri noi, spicchi di specchi in cui ci riflettiamo, con gli stessi errori, banalita’, pochezze; e con gli stessi aneliti, soffi, slanci, speranze, dolcezze. Eppure tutti chiusi nei nostri mondi piccoli o presi ad autoproclamarci incondizionati amanti della vita, della natura, dell’eguaglianza, della liberta’, sapendo autolimitarci, da soli, quella liberta’ che va a intersecarsi e spesso cozzare, con quella altrui.
E spesso ci crediamo per davvero, convinti e certi, , spesso lo vorremmo, spesso ci illudiamo, con una frase, con una ‘donazione’, con un appello, con una levata di scudi; e ci laviamo la coscienza e l’incartiamo come un “fioretto” nuovo.
Prima di tornare a coltivare, dietro a steccati, fossi, recinti, trappole per topi, il nostro piccolo orticello quotidiano.
…Io, tu, lui, voi, noi, tutti…
Nato sotto il segno del toro nel ’68, sono papà di tre stupendi maschietti…
Ho vissuto serenamente la mia infanzia in Australia.
Amo definirmi l’ultimo dei piccoli poeti falliti, il Don Chichiotte della situazione.
Infermiere da quando avevo 17 anni, di battaglie ne ho viste tante..
Scrivo da una vita, con la penna o con la pancia, catturo le immagini e le trasformo a mio piacere.
Senza fine sarà
questa favola pura
che ogni giorno
mi narri
che ogni giorno
ti narro
incantando
il tempo
che si ferma
rapito.
Ascoltando.
Cado nel tuo abbraccio.
Senza pelle raccolgo
ogni soffio: rapita d’amore.
Questo amore che mi rincorre
anche nel sonno, furtivo,
entra nei sogni.
Mi conduce nel bosco della notte,
a raccoglier parole come fragole
per fartene dono al mattino.
Così tu, ridi felice,
ubriacandomi con attimi,
brulicanti d’infinito.
Archivi
- Ottobre 2017
- Settembre 2017
- Luglio 2017
- Maggio 2017
- Marzo 2017
- Febbraio 2017
- Ottobre 2016
- Settembre 2016
- Agosto 2016
- Luglio 2016
- Giugno 2016
- Maggio 2016
- Aprile 2016
- Marzo 2016
- Gennaio 2016
- Dicembre 2015
- Novembre 2015
- Ottobre 2015
- Settembre 2015
- Agosto 2015
- Luglio 2015
- Giugno 2015
- Maggio 2015
- Aprile 2015
- Marzo 2015
- Febbraio 2015
- Gennaio 2015
- Dicembre 2014
- Novembre 2014
- Ottobre 2014
- Settembre 2014
- Agosto 2014
- Luglio 2014
- Giugno 2014
- Maggio 2014