Ancheggiava.
Vestito stretto, che lasciava poco all’immaginazione.
Seni che sembrava traboccassero dalla scollatura.
Sentiva gli sguardi degli uomini addosso, che oscillavano fra seni e gambe, incerti su dove fermarsi ad osservare tutto quel “bendidio”.
Ormai era “bollata”. Ma lei, Angelica, aveva una preda precisa: il vecchio prete.
Certo, lui le impediva di entrare durante la funzione “così conciata”. Ma intanto la guardava.
Angelica sapeva che, prima o poi, sarebbe caduto.
Nessuna fretta: sperava solo che Iddio non chiamasse il prete prima di lei.
Così iniziò a entrare in chiesa la sera, ad aspettarlo al confessionale.
Gli raccontava di amplessi…
Come previsto, lui cedette: le mise le mani addosso, la portò nella sagrestia.
Angelica si lasciò spogliare, poi prendere; ansimava l’anziano parroco.
Lei, incollò la bocca a quella di lui impedendogli di respirare, vincendo lo schifo che,
solo per un attimo, le aveva accapponato la pelle.
In pochi attimi, il prete divenne paonazzo e con un rantolo, portò le mani al cuore.
Angelica toccò il polso del prete: aveva fatto quello per cui, un anno prima, era ritornata da Roma.
Uscì nel freddo della sera, imboccò il viale coi platani, valicò il cancello e si inginocchiò.
La scritta recitava “20-12- 1985 / 21- 1 -2002”, “Riposa in pace.
“Ho fatto tutto”, si disse.
Le lacrime bagnarono il terreno consacrato e Angelica si sentì in pace.
Per la prima volta, dopo la morte per aborto procurato, di sua sorella.
Poi s’alzò e si diresse verso la scritta che campeggiava bianca e blu: “Polizia di Stato”.
E poi c’è questo inusuale luglio travestito da settembre.
E poi ci sono nuvole piangenti che vestono il cielo di imprevedibilità.
E poi ci sono le pozzanghere, che trasformano le strade in torrenti.
E poi ci sono ombrelli che rapidi camminano e proteggono frenetiche solitudini.
E poi c’è un delicato cognac, che impreziosisce le mie emozioni.
E poi ci sono io, travestito da me stesso, che dalla finestra osservo.
E poi ci sono le sue mani, travestite da soffici piume,
che leggere scorrono sulla mia schiena, regalandomi sensazioni
che non so e non voglio descrivere.
Tratti biografici di un contadino.
Sono nato a Grammichele (CT) il 18 Agosto del 1941.
Ho il diploma di Perito Agrario, conseguito nell’Istituto Agrario San Placido Calonerò di Messina.
Sono stato Hippy e per due anni in India, ad Aurville e a Pondicherry.
Sono sposato con una “Santa Donna”, ho tre figli e quattro nipotine.
Vivo a Caracas, nel Venezuela, da quarant’anni.
Ho fatto il casaro, fondato un caseificio e per venticinque anni, ho fatto mozzarelle e provoloni. Attualmente in pensione forzata, per vari motivi, ho iniziato a scrivere i miei ricordi,
nei quali si può trovare un insieme di espressioni, sintattiche e grammaticali, in italiano, in siciliano e in spagnolo.
La mia gratitudine e il mio ringraziamento vanno alle mie amiche, che mi aiutano a mettere un po’ di ordine nel guazzabuglio dei miei scritti.
Ad occhi chiusi saprò ritrovarti.
Il vento porterà da me le tue molecole.
Ad occhi chiusi sogno te
E più che reale mi rendi
l’amore che ti offro.
Ad occhi chiusi ho capito
che eri tu l’offerta degli dei
e ti do il mio cuore,
perché so che vivra’
del tuo amore.
Ad occhi chiusi ti feconderò,
perché so che nasceremo noi.
E ti lasceró libera,
perché i tuoi voli,
ti riporteranno da me,
sempre più carichi di sapere,
della gioia di essere libera,
amata e rispettata.
Ad occhi chiusi mi fido di te,
della fusione che ci ha offerto la vita.
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