Provo a dire di me.
Nata, cresciuta e pasciuta a Milano, ma deve esserci stato un errore: il grigio e il caos non mi si addicono.
Preferisco il verde campagna, l’azzurro del cielo e il blu del mare.
Credo fortemente nell’amore e ho pochi amici, ma veri.
Non sopporto le menzogne (quelle davvero mi feriscono!)
Mi incendio facilmente, per finta e mi spengo per davvero.
Sono una semplice donna complicata.
Mi piace leggere e non mi fa paura la solitudine.
Mi piacerebbe saper scrivere.
Arrosisco ancora facilmente. Come adesso!
Io confesso.
Di aver creduto di impazzire.
Di averti amato e odiato da morire.
Confesso che ci sono stati giorni
e soprattutto notti,
in cui il fantasma di me stessa,
mi stava sbranando l’anima.
Confesso che a momenti,
ho creduto di averla persa.
La sentivo rantolare nel buio.
Confesso che ho avuto bisogno di tempo.
E che ancora oggi,
qualche volta inciampo.
Ma in fondo se cado si tratta di uno sgambetto.
Sorrido e ti confesso
che oggi mi sono perdonata.
Guardo il luccichìo delle stelle che tremano sulle nostre teste.
Intreccio il suono della mia voce con il silenzio del tuo sguardo;
accarezzo un ricordo senza tempo con la mano del presente.
I miei pensieri accarezzano l’aria leggera della brezza marina.
Assaggio il sapore del silenzio notturno.
La mente scatta un click mentre un bocciolo di rosa si schiude.
Due innamorati mi sorridono in lontananza,
sento che cavalcano l’onda di una fresca giovinezza.
Tra cielo e terra,
uno spettacolo fantastico
intriso di miste emozioni, fatto di pura vita
dove io sono la protagonista principale.
Ascolto i battiti di un cuore felice
per una vita vissuta.
Ditemi se questo è poco
come pretesto per vivere ancora.
Ce n’erano ad ogni angolo
nascoste in attesa nel buio.
Grandi e luminose alcune
e altre così piccole
da confondersi
in un battito di ciglia.
E quando inciampò
in un lampo improvviso
fu nuova luce
e seppe di averle scelte
tutte in uno sguardo
e una sola.
E fu scelta anche lei
e le bastò.
Confesso di non credere nell’anima gemella. Di essermi innamorato più volte e di aver lottato aspramente con me stesso. Pianto soffocati sentimenti e lacerato la mia anima, per rispettare le mie scelte. Confesso di credere in Dio ma in nessuna religione. Il mio Dio può chiamarsi Gesù, Buddha, Manitou o semplicemente “Padre”: per me è lo stesso. Confesso di essermi schierato, per gli ultimi, i poveri, gli sfruttati e per questo, di aver sputato contro una vetrina che esponeva jeans da 1600 euro. Confesso di averlo fatto con gusto. Confesso di evitare di guardarmi allo specchio per non vedere un “signore” di oramai quasi sessantanni, che non conosco, perché quello vero e che vedo dentro, resta un ragazzo. Con le stesse paure e le stesse incertezze.
Ti ho lasciata alfine,
umida e soffocante isola.
Abbandonati i tuoi campi verdi
e le tue nuvole
che disegnano animali.
Ho lasciato la tua gente,
con cui non sono mai riuscita a legare
e abbandonato il tuo mare,
dove non ci si puo’ tuffare.
I tuoi monti d’erica che lasciano a bocca aperta…
Ed eccomi qui,
come sempre, straniera.
Ti amerò per sempre.
Niente è come tu dici.
Ogni cosa fluttua,
trasportata dalla corrente del niente.
La vita cambia forma alle cose,
trascina figure,
su una giostra distratta.
Tutto diviene sfocato.
E i ricordi diventano i sogni.
Lontano dalla fame e dalla sete,
una chitarra sdrucita pizzica note su cicatrici di miele,
rimestando il dolce e l’amaro con un risultato invertito.
Ancora stordita dal suo sogno in sospeso apre una controluce,
un esodo sfarzoso accarezzato qualche volta nel solco dell’infelicità,
un serbatoio di speranza recalcitrante e suadente,
sinonimo d’altri venti, d’altri santi.
Dove sfioro la felicità.
L’esistenza nella misura della costanza per tutta la nenia,
fino all’istante della ripartenza.
Non si può rinunciare a un remoto piacere, a un segno di denti sulla pelle buona come il pane.
A inghiottire con l’eucarestia il corpo e il sangue di Cristo.
Un pensiero magico sempre pronto a tacitare la ragione di una pratica ripugnante e affascinante: cannibali, morti viventi.
Un bestiario estivo di comportamento estremo, che abita la mente malata e disgraziata.
Stiamo calmi tutti noi, mangiamo il prossimo molte volte nella vita e persino nella giornata.
Amavo un cannibale che si chiamava Annibale. Un giorno mi baciò le labbra, mi mangiò nei giorni di sereno.
Mangiava gambe e seno; un triste giovedì il naso mi inghiotti`.
Eppure i baci suoi ricordo con ardore, quei baci non dimentico d’amore e di dolore.
Lunghissimo è per me il filo tra una buona scrittura e una bella calligrafia.
Non ho certezze…sottilissimo è il filo…molta curiosità della vita.
Può darsi che non mi moriranno mai.
Scrivo senza vergognarmi, leggo, ascolto e amo senza vergognarmi.
Mi è impossibile dire la mia età…tutti i giorni è diversa.
Ho occhi attraenti, il destro è innamorato del sinistro.
Un flirt con la pittura e lussuriosa con la scultura.
Al Louvre scambio carezze proibite con Amore e Psiche.
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