…E si sentiva comunque solo.
Gli mancavano i sussulti,
come quelli del vento che accarezza le foglie
Gli mancavano le carezze,
come quelle del mare sugli scogli.
Gli mancavano le parole zuccherose,
come quelle degli uccelli al primo mattino.
E quando la sera calava,
chiedeva un abbraccio.
Alla notte.
La balera di periferia in quell’Emilia rossa del Lambrusco e della politica, era squallida.
Poche coppie stanche.
L’ora era tarda e la musica languiva.
Era stata una lunga serata. Tutto era compiuto.
Sguardi, ammiccamenti, intrallazzi, amori nati, nascosti, finiti, tradimenti e riconciliazioni.
Ad un tratto una matrona vestita di rosso, tutta la sera a sedere per mancanza di cavalieri,
si alza e in mezzo alla sala inizia a ballare con movenze di flamenco.
L’orchestra si rianima.
La donna dall’abito rosso non e’ piu’ ” quella grassa”.
La musica l’ha trasformata in una femmina sensuale
e mentre il ritmo incalza, lei danza.
In un sogno.
Lavorava al motel sull’autostrada,
dove coppie furtive e imbarazzate si concedevano
il tempo effimero degli amanti.
Nelle camere vuote lei spiava fra i letti disfatti,
le impronte calde dei corpi: cercava profumo d’amore,
ma aspirava solo l’odore acre del tradimento.
Nessun solvente avrebbe potuto cancellarlo.
Ho poca voglia
e un interno
da arredare.…
Ho pareti
bianche
e graffi
sulla schiena.
Disillusa
e impreparata
alla vita,
ascolto specchi
che rimandano
solo riflessi.
L’aveva portato il vento, quel profumo di ginestra misto a lavanda.
Il nonno lo portava da Parigi, lo avevano creato solo per lui.
Era l’odore di un’infanzia fatata, accanto al mio mago delle favole,
che mi aveva insegnato a volare in un’altra dimensione.
Voleva ricordarmi di sognare ancora.
Quello che più mi innamora,
e’ stare immobile davanti al tuo desiderio.
Cammina, mi avvolge senza toccarmi.
Quello che più mi innamora,
è un intersecarsi di pensieri paralleli,
come immobili stelle in un cielo d’estate.
Quello che più mi innamora,
è questo cercarsi senza mai trovarsi.
Perché l’amore non vuole essere raggiunto,
ma raggiungerti.
Un ticchettio costante, debole ma persistente, la snervava.
Non si chiedeva se fosse nel suo cervello o in quella lurida, umida stanza.
Sola, di un’inutile vecchia bellezza,troppo sfruttata, venduta e svenduta senza ritegno. Adoperata senza soste.
Pagava gli errori commessi. Senza lacrime, come sempre, senza trucco, come mai.
Ancora stranamente bello il suo corpo trascurato, trascinato dai bisogni anatomici.
Accendeva poche luci, con una pila illuminava bene i soldi da lasciare al suo fornitore ogni sera.
Era quel premuroso sconosciuto a decidere i suoi pasti. Gliene aveva dato responsabilità dal primo giorno.
Ogni mattina sentiva il furgoncino, spiava da un apposito buco, e appena egli andava via, con uno scatto ormai felino, tirava dentro quei suoi squallidi bisogni. Sigarette e whisky, innanzitutto.
E fumava, fumava, senza mai cambiare aria. Viveva del suo respiro putrefatto. Ragni e scarafaggi con lei.
Il suo gatto, stecchito da giorni, avvelenato da cibo avariato, si putrefaceva nel camino spento, sua sola pattumiera, unica sporca apertura verso il cielo.
L’odore di morte avrebbe, a breve, sopraffatto l’acre del fumo.
Viveva là da due mesi ma non sembrava così.
Quel giorno c’era il sole fuori, il buco spia lo lasciava entrare, una piccola sfera di luce attraversava mezza stanza andando a morire sotto il tavolo.
Lei decisa, senza alcun preavviso, afferrò un coltellaccio e si accinse a liberarsi definitivamente del cadaverino puzzolente.
Prese a spezzettarlo, era rigido, esangue.
Si fece prendere e, divertita, cominciò ad assumere espressioni assassine, demoniache, malefiche: occhi infuocati, denti e gengive da fuori.
Fece presto, buttò i pezzi nel water e tirò lo scarico.
Ma quello si fece rumoroso
– Otturato, cazzo! –
Il tempo di dirlo e si sentì vomitare addosso tutta la sua perversione.
Rimase immobile, fredda, per tre, quattro secondi…
Poi si voltò e corse fuori.
Rinsavita o impazzita.
Il sole le bruciava gli occhi, le pietre le tagliavano i piedi,
ma lei correva, correva ancora, ad occhi chiusi.
Sicura che stavolta la morte non l’avrebbe ignorata.
Ormai è tardi
e un treno e’già in corsa.
Indietro non torna.
Polvere al vento dispersa, ormai.
Con gli occhi lucidi,
non è facile guardare.
E mi toccavi il cuore,
ricordo ancora i brividi.
Ma è tempo di lasciarli andare,
su altra pelle.
Via dall’anima.
Ormai è tardi.
Se manca la terra da sotto i piedi, non è come volare.
E’ cadere e fa paura.
Mi bruciavi il cuore.
Sento ancora l’odore di cenere e macerie,
ne è intrisa la pelle e fino in fondo, l’anima.
Ormai è tardi.
Per esser quello che non siamo stati mai.
Pulcinella fece un inchino, mi sorrise poi allungò la mano: ” Chiur l’uocch, Mari’. Sient e nun teme’ “.
Strinsi la sua mano e mi lasciai guidare.
A Napoli, nelle strade strette di vicoli e scale ferite, sembrava già notte, sembrava la morte.
Ma dalle finestre qualcuno cantava, qualcun’altro bestemmiava, poi taceva e pregava.
E il cibo. Si, il cibo. Dalla strada potevi annusare il ragù che faceva festa anche se non era domenica.
La frittura che entrava nei capelli e quasi li ungeva, ti benediceva.
Poi le donne. Anche le donne. Sedute fuori i portoni, erano pregne di fumo e borotalco.
Una si alzava, con la sua scia di profumo e di vino e saliva al piano terra senza numero, senza balconi e aspettava.
Un fiore, una banconota, un amore.
Agli angoli dei marciapiedi, bottiglie sparse di birra e cuoppi di carta oleata. Come una tavola apparecchiata di tutto e di niente.
“Sient’ Mari'”. Diceva.
E mi girava la testa in quel vortice di vita odorosa.
E ti stordiva e stancava i sensi.
Accade così quando ti innamori “a pelle” di una città.
Roberto nasce 53 anni fa. Roy nel 2010, perché è uno pseudonimo.
Insieme convivono bene. Amano visceralmente il mare e la musica, pur rimpiangendo di non conoscerla.
Sovente indugia su colori, libri, arte.
Studia da Capitano di lungo corso, poi decide di andare per libri e si laurea in Ingegneria Elettronica.
Dopo 17 anni di detenzione impiegatizia, si mette in proprio, adottando la massima di “Peppino ‘o meccanico” – Ieri ho guadagnato abbastanza. Oggi sono chiuso e vado al mare – (Così parlò Bellavista).
Roy scrive per diletto, Roberto legge, non sempre con apprezzamenti.
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