Con la notte svaniscono i colori.
Nel giorno si diluiscono,
ritornano a mischiarsi all’aria.
Solo la notte sa trattenerli.
Come dentro a barattoli di vetro.
Sa pungere la notte,
laddove il giorno è colore.
Mi chiamo Maddalena, siciliana del capoluogo.
Ho una famiglia normale, non come quella del Mulino bianco.
Amo scrivere e lo faccio da molto tempo ma non sono ne´ poetessa e neppure scrittrice.
Spesso lunatica, istintiva e sincera con chi sento lo sia altrettanto.
In sintesi : un molesto pensiero, una nuvola dispersa, acqua che scivola e fuoco che brucia.
Infine sono anche una rompiballe a tempo indeterminato.
Ci sono stanze mute
che urlano il silenzio
di bambole scucite
perche´ gli adulti ingannano.
Nero questo vuoto
che ingoia ogni colore
e sporca queste labbra
di lacrime e paura
L’amore e´
un rossore inusuale,
un incongruo profumo,
che potente biancheggia
squarciando l’aria, densa di inodore nero.
Amo la libertà dei colori di mezzo,
quelli sospesi tra cielo e mare,
quelli che nessun azzurro cattura.
Con loro vola la mia fantasia.
Abiti e habitat
Non si associa sovente l’azzurro alle terre,
si tende a rimanere tono su tono.
Eppure una camicia colore del cielo
su un pantalone marrone, specie se di lino,
ricorda tanto
la freschezza delle acque sugli scogli.
ANTRACITE
Una malattia. Uno scherzo del destino. Fuggono gli altri.
Solo Nero rimane.
Fratelli nella cattiva sorte
PERVINCA
Quando il bianco virginale fa difetto arrivo io.
Sobrio, elegante , surrogato di una felicità in seconda istanza.
Sono una seconda possibilità in-colore
MOGANO
Quando mi invitano alle feste dei colori, invidio il Vinaccia sempre così ricercato.
Il Bordeaux così charmant.
Io lì, come un soprammobile.
SALMONE
Risalgo la tonalità dei rosa controcorrente.
Ad un tratto uno shocking l’incontro con il pastello.
NOI ROSSI
Fra le rovine di Pompei, fra le calle veneziane, siamo un segnale ma cardinale?
Fragole e sangue. Bruciamo lentamente come pomodori al sole.
Come manovali che assommano mattoni.
Noi Rossi, in ogni tonalità.
MAGENTA
Ridotto a tipografo laser, io, lunghezza d’onda infinita.
CREMISI
L’accento mai ben posizionato. Mi credono un beige gelato; sono un rosso bollente.
Maldicenze.
Dicesi parente-serpente, quello che non vedi mai, ma si fa vivo appena ha bisogno.
Ogni estate, uno di loro mi cerca, dato che ho la casa al mare. La loro tattica è chiara: ti vengono a far visita, elogiano la casa, e ti chiedono spudoratamente di essere ospitati per una settimana/dieci giorni.
L’altro giorno avevo una giornata di libertà e mi ero fatto un bel programmino: la mattina al mare a farmi un bagno di sole e una splendida nuotata, a pranzo spaghetti con le vongole e spigola al sale, con tanta birra ghiacciata.
Chissenefregava! Tanto, dopo pranzo, avrei fatto la mia pennichella!
Infatti, dopo essermi abbuffato e ubriacato, mi sono disteso sull’amaca, sotto il mio bell’albero ombroso, puntandomi addosso il ventilatore al massimo. Ah che goduria!
Dormivo come un angioletto quando, all’improvviso, fui svegliato da una voce: «Marcoooo, Marcooooo».
«Chi cazzo osa a quest’ora?» pensai. Guardai l’orologio: le 15.30; mi affacciai al muro e guardai in strada: oddio! Mio cugino Francesco con tanto di moglie figli cognati e perfino la nonna! Come camminava arzilla la vecchietta, più veloce degli altri
Cercai di nascondermi, ma ormai mi avevano visto:«Marco! Meno male che ci sei, possiamo entrare?»
«Veramente stanno tutti dormendo» risposi «comunque accomodatevi, li sveglio».
Mi aspettavo che civilmente dicessero: “ma no, non vogliamo disturbare”, invece stettero zitti.
Tutti si alzarono dal letto bestemmiando; spenti i ventilatori, barcollanti per la birra e il sonno, ricevemmo quell’orda di lanzichenecchi sudata e vestita di tutto punto. (Alle 15.30, d’estate!).
Ci sedemmo. Loro parlavano, noi abbassavamo la testa e, il più delle volte, essa rimaneva abbassata, vinta dal sonno, salvo poi rialzarsi bruscamente al primo russare.
All’improvviso il cugino Francesco: «Ho sete, mi daresti un po’ d’acqua?» e mia moglie: «Cosa vi offro? Tè freddo, o una birra ghiacciata? Siamo qua da poco, abbiamo solo questo».
Io, ancora rincitrullito, mi sveglio del tutto e prego che non chiedano l’unica birra rimasta; (me la devo sorseggiare io, stasera, davanti alla partita, con le gambe scravaccate una a destra e l’altra a sinistra!).
Preghiera inesaudita. Tutti in coro: «Vada per la birra ghiacciata, c’è tanto caldo!».
Stavo per cadere dalla sedia.
Mia moglie porta la birra e il tè, poi, rivolgendosi a me: «Marco tu lo vuoi un po’ di tè freddo?»
Io ruggisco: «Mi fa schifo il tè freddo!».
Guardo i Lanzichenecchi che bevono la mia birra e non ne lasciano neanche un goccio ed ho istinti omicidi.
Restano ancora a chiacchierare; si fanno le 17.00, e ancora non si decidono ad andarsene.
In inverno, quando ci sono visite sgradite che si protraggono fino a tarda sera, ho un modo infallibile per farli andar via: mi alzo, vado a mettermi il pigiamino e mi siedo di nuovo accanto a loro, che subito chiedono: “Vai a letto?”, ed io rispondo: “si, scusatemi, sono stanco, ma voi restate pure”. Loro capiscono e se ne vanno.
Ma d’estate, alle 17.00, col caldo bestiale, non posso mettermi il pigiamino; allora rifletto e mi viene un’idea. Mi alzo, vado nel ripostiglio, mi metto costume, pinne e una maschera da sub, trovo persino un vecchio fucile subacqueo arrugginito. Così, vestito di costume, pinne, fucile ed occhiali, vado a sedermi tranquillamente tra di loro. Sembro un matto da manicomio. Vedo lo sguardo stupito di mia moglie e dei miei figli, vedo mia figlia che sussurra a mia moglie: “Papà è impazzito!”.
I parenti serpenti mi guardano attoniti, finché il cugino Francesco: «Stai andando a pescare?»
«Si» rispondo io «ma non vi preoccupate, voi restate pure!». Il figlio piccolo del cugino Francesco mi chiede: «Ma scusa, parti da qui già vestito da sub?»
E io rispondo: «Piccola gioia ( non ricordo mai il suo nome ) ognuno va a pescare come gli pare, c’è chi si prepara in spiaggia, e chi va in spiaggia già preparato». E lui insistendo: «Ma come fai a camminare con le pinne per la strada? Sembri una foca!» E io: «Piccola gioia, questi saranno pure cazzi miei no?».
A quel punto i cugini si alzano dicendo che si era fatto tardi e dovevano andare. (Perfetto, non gli ho lasciato neanche il tempo di auto-invitarsi per un week-end!), ma la nonna resta ancora aggrovigliata nella sua sedia a sorseggiare la mia birra. Con la scusa di salutare le passo dietro e “casualmente” le pungo il sedere con l’arpione del fucile, (avrei voluto conficcarglielo, ma mi limitai a pungere).
Si alza anche la nonna. Li accompagniamo in macchina, io sempre con le pinne, il fucile e gli occhiali.
Prima di partire Francesco dice: «Una di queste domeniche veniamo a trovarvi, magari passiamo la giornata insieme» «Senz’altro» rispondo «venite quando volete, sempre se ci campiamo!».
Se ne vanno, finalmente, magari toccando ferro.
In fondo cosa chiedo io alla vita? Solo di essere lasciato in pace nelle ore post-prandiali estive.
Ladri schifosi della mia birra ghiacciata, del mio sonno, dei miei sogni, della mia tranquillità e della mia felicità!
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