“Urla per sordi” Vittoria Alices
Lui mi sedeva accanto, pranzava, cenava e dormiva con me.
Dal giorno della morte di mia madre, seguiva ogni mio passo.
Era forte, quasi quanto la mamma, ed io ne avevo lo stesso rispetto anche se, il suo aspetto repellente e i modi di fare, mi provocavano disgusto.
Guardava le bambine, lo schifoso, risucchiandosi la lingua trasudante di saliva e blaterando incomprensibili parole impastate.
Io mi tappavo le orecchie, cantavo, urlavo o parlavo senza interruzioni, pur di non sentire quel viscido rumore.
Quante volte sono stato sul punto di spiattellarlo a tutti! Ma quello era furbo, lo faceva quando nessun adulto lo guardava.
Nessuno mi avrebbe creduto.
– Non avrà mai il coraggio di farlo – mi dicevo.
In paese mi credevano matto a fare quei versacci, ma ero innocuo e fessacchiotto, dicevano loro.
Nessuno si soffermava a scoprirne il motivo.
Spesso i bambini mi prendevano in giro; io mi divertivo a giocare con loro, nonostante sentissi sempre sul collo i vomitevoli risucchi del verme.
Un giorno lo fece, il maledetto.
Porto’ Alessia, la bambina bionda che a me piaceva tanto, nella stradina in fondo al buio e lì poi la lasciò, senza una lacrima.
Da allora tutto e’ cambiato, mi hanno messo in un posto chiuso, somiglia a una prigione.
Il porco assassino e’ sempre qui, accanto a me, non mi lascia ancora.
Ma io qui mi sento al sicuro.