Sintobiografia e sintoscritti di Fabrizio Pecchioli
L’autobiografia d’un piccolo “poeta” come me.
Nato a Firenze 53 anni fa (26-12-1962). Le umili origini non mi hanno consentito di approfondire gli studi, fermandomi così alle scuole dell’obbligo.
Ho cercato di colmare questa lacuna, attraverso la passione per la poesia e i racconti, facendo dell’autodidattismo l’unica scuola potessi permettermi. Vivo sulle colline che abbracciano Firenze (Chianti) dove spesso attingo ispirazione letteraria e di vita.
Non amo molto per la verità raccontarmi; quindi qui mi fermo, lasciando a voi un’immagine da completare nella vostra immaginazione; che poi altro non è, che il motore che ci spinge a vivere.
” Il ricordo d’un amore
è meglio lasciarlo andare
per quelle strade che s’è progettato
quando meditava la fuga
quando lo guardavo perplesso svanire
tra il tempo e la prima sua ruga… “
Universo
Piccolo Sole mio
chissà su quale asse ruotano i tuoi sorrisi
chissà quante stelle trattieni sulla labbra
e poi le lasci cadere nei baci
quante scie luminose ti porti nel cuore
mio piccolo universo infinito
chissà quante astronavi d’amore
transitano i tuoi cieli
a quale velocità
hai dimenticato i dolori
e come misuri il tempo della felicità
chissà mio piccolo Sole
su quale asse ruotano i tuoi sorrisi.
Fiore
Amatemi
come io ho amato voi
cosicché un giorno
m’accompagnerete alla terra
la vostra
che umida e guttata del vostro pianto
sarà pronta ad accogliere
le spoglie d’un livido corpo
Questa volta,non sbaglierò
scegliendo di rinascere ancora
dei mille colori
che conta la primavera
Questa volta,saranno le api
i calabroni
a godere dei cento profumi: non io!
Ritornerò,da quella terra
anch’io come un fiore
ad amarmi di più
di quanto sia stato capace,un uomo
per metà vita vissuta
da cieco.
Di dariniana involuzione della specie
Poi.. ci ritrovammo nel 3047, senza più le braccia: “Non ci sarebbero mai più servite, senza il bisogno degli abbracci” I nostri corpi modificati; avevano subito la mutazione; la sconseguenza, di una stupida diffidenza. Cosa ci restava di umano? Perché ci eravamo ridotti così? Poveri umani, poveri noi! Poi… calarono le tenebre. Senza poterci abbracciare era inutile anche il calore del Sole.
Secondo classificato al “Sintoconcorso” di Giugno 2015
A nudo
Indosso abiti di seta
su questa pelle di ruvida vita
troppo avvezza
ad un tedio destino
Indosso,dicevo,la gioia d’una sera
semmai troppo stretto lo sfarzo
che mi fa foggia
che già
va sgualcendosi addosso
questa effimera felicità
Mentre tu, ti allontani da me
portandoti via
la tua luce di strass
E così, altrettanto veloce
ritorno alle mie solite vesti
di grezza trama destino
“E’ proprio un lusso la gioia per me
ammantato
dalle solite misere parche braghe”
Cinquanta per trentacique
A quattro mani con Antonio Pontremoli
“Tremano le mani a quel vecchio pittore,che sulla rive gauche della Senna,sta cercando di dipingere, Notre Dame de Paris”
I colori erano troppo forti,per una giornata d’ottobre. Di pioggia,che fine cadeva su tutte le cose. Anche sulle sue povere mani. Ma era una scusa,una delle mille,che da tempo si raccontava,per non accettare la sua malattia:
“Ma non quel giorno!”.
Cyprienne, decise così di chiudere la casetta degli oli e il treppiedi che sosteneva la tela, un 50×35. Stavano lì, tutte le dimensioni del suo essere artista, libero e ahimè, malato di Parkinson. Se la mise sottobraccio, mentre con l’altra mano trascinava a fatica il cavalletto, che lasciava un solco sulla pioggia caduta. S’avviò lento, verso il portale della chiesa, col suo basco nero inzuppato di pioggia, che gli ricadeva sulla lunga barba grigia, dietro la nuca, fin dentro la schiena. Come un pianto che non era mai stato capace di uscire dagli occhi.
Ancora più lenti si fecero i passi quando, percorrendo la navata centrale della maestosa cattedrale,stavano per portarlo al cospetto della Madonna,davanti all’altare maggiore. Un solo colore, il bianco del marmo pesante, che la raffigurava; un solo peso, i 21 grammi della sua anima, che stavano per chiedere grazia alla Madre.
Piegò lentamente il suo dolore, dinnanzi a centinaia di fiammelle. Nessuna al suo tremore si spense: le palpebre stanche e umide, lottarono per mettere a fuoco il regalo che stava per ricevere.
Fissò una delle tremule luci, che leggera, si rifletteva verso di lui, vide così, quei 21 grammi iniziare un viaggio brevissimo. Dal suo cuore,a quello della signora di marmo…
Sentì ogni singolo battito, ogni singolo sbalzo di sangue, stabilizzare i colori e quelle mani vetuste, d’artista.
Poi una barba, che tanto gli somigliava, riprese a dipingere con mano decisa.
I pennelli,colare gocce di vita, i suoi oli, mischiarsi sapienti di nuovo alle tele.
50X35,la grandezza d’ogni goccia di pioggia colorata, che ricadeva dal cielo come a benedirlo.
“Una mano fermissima, sulla rive gauche della Senna, dipinge Madonne, olio su tela: 50×35”.
Sintoscritto vincitore della gara a quattro mani “Scopriamoci senza mostrarci”
Primo ma(h!)ggio
Noi siamo le bocche silenti
per le orecchie del potere politico
siamo le bocche chiuse
a cui non serve il companatico
Esseri minuti
per le mani che tirano fila
per le mani dei pupari
che ci osservano dall’alto
noi siamo nati muti
e ci muoviamo se comandati
Noi siamo un corteo fantasma
che quando avanza non fa paura
quando indietreggia lo fa di corsa
alzando solo un gran polverone
che magari ci provoca l’asma
che un colpo di tosse ci deve bastare
per gridarlo dentro a un megafono
noi siamo un esercito afono
che nessuno riesce a sentire
e che noi non riusciamo a vedere.
Mi riconoscerai
Manifesto cuore
posso celare al mondo
le mie paure
non certo te
che mando avanti sempre
ancor prima
dei miei passi…
Sgraziate carezze
Ho mani grandi
e goffe
Vivono di spicciole carezze
e non so
se avranno mai la forza
d’una preghiera
O se, godranno un giorno
della potestà concessagli da Dio
per arrivarti al cuore
Le mie mani sono ruvide e sgraziate
e possono lasciare segni
Spero di non graffiarti il cuore
se ti accarezzo
D’ottobre male
Mentre nessuno sapeva
del mio dolore
d’ottobre…
C’ero io solo
quella sera sulla spiaggia
E una barca capovolta
come la mia anima
E il mare
che schiumava
anche per me
la rabbia
d’autunno
La mia
rabbia d’ottobre.
Binario morto
Oltre l’umido dei nostri occhi
c’è solo il silenzio di questo momento
e d’un giorno
che sta per finire
Ecco che non ci rimane che un bacio
prima che le nostre schiene
– in direzioni opposte all’amore –
si allontanino ancora una volta
“e si muore per conclamata abitudine… ancora una volta”
E’ un bacio a creare distanza
Tra noi
e la prossima volta
resta il peso del nostro sale
che frana dagli occhi ai piedi
e c’inchioda a questa malinconica realtà
alla realtà.
Ti saluto e tu te ne vai
ma siamo in due
a restarcene soli
io qui, sul marciapiede
e tu, su quel vagone di seconda classe
Dov’è il tuo petto?
Ogni tanto si è soli
e allora m’immagino bambino
che corro veloce
veloce
veloce
veloce
velocissimo verso di te
e mentre corro veloce
che quasi mi manca il respiro
io non riesco a pensare a nient’altro
che è bello
bello
bello
bello
bellissimo venirmi a schiantare
contro il tuo petto, fra le tue braccia
mentre grido fortissimo
“mamma!”,e tu sorridendo
m’abbracci più forte che puoi
sollevandomi
letteralmente da terra
Ed io, sono rimasto lì
sospeso per aria…per sempre
tra il tuo petto e questo bisogno
” Ogni tanto, mi sento solo mamma “