Sintobiografia e sintoscritti di Patrizia Destro

 

Mi chiamo Patrizia, sono nata a Milano (Hinterland) nel 1965, quasi mezzo secolo fa… Brrrrr, che impressione! Ho iniziato a scrivere a diciotto anni e poi da adulta ho pubblicato due libri. E’ stata un’esperienza appassionante e formativa (quanto lavoro c’è dietro ad una pubblicazione!). Mi occupo di benessere (Shiatsu e Medicina Tradizionale Cinese). Precedenti occupazioni (elencate alla rinfusa): riscossione tributi, lezioni di lingue, volontariato, addetta ristorazione, attività culturali, commessa di erboristeria, assistenza clienti, attività sindacale di base, operatrice socio-educativa). Nuoto e trekking da più giovane, yoga e camminare nella maturità. Cerco di dare le risposte che mi paiono più adeguate alle richieste dell’esistenza Di recente ho scoperto che mi piace far ridere, attività difficile che però, quando riesce, è di grande appagamento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Quante lune ci sono in un anno?
E quante in tre, in dieci, in vent’anni…
Quante lune ci sono in una vita.
E io le ho contate tutte, e le ho ammirate e le ho invidiate,
tutte, tutte queste lune.
E ne ho pianto, e ancora ne piango.
Le belle lune”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una giornata particolare

C’erano molti bimbi quella mattina all’ambulatorio vaccinazioni. Due o tre viaggiavano su automobiline a pedali, altri giocavano con i pupazzi e qualcuno – giustamente – strillava. Le sedie libere erano poche. Ad un certo momento il mio vicino d’attesa mi rivolge la parola: «Buongiorno! Mi presento: sono il Signor Birra Moretti» e mi mostra un book fotografico. Inizia a spiegarmi: «Noi signori Birra Moretti siamo tanti». Mi chiedo come mai e cerco di darmi delle risposte: forse è per via dell’età; il signor Birra Moretti di turno deve avere dai 40 ai 60 anni, direi, così a occhio e croce, perché poi con il trucco diventano tutti un po’ simili. Quando sfora, ne prendono un altro. Oppure è per via dei contratti di lavoro; scommetto che nella pubblicità sono fra i peggiori. Guardo le fotografie e poi guardo lui e cerco di immaginarmelo con i baffoni, il cappello e l’abito di stile antiquato. Parlottiamo un poco di cose varie: che cosa fai nella vita, che lavoro fai o stai cercando, cose così. Scopriamo che, pubblicità a parte, siamo nello stesso settore professionale ed è per quello che siamo lì in attesa di completare il ciclo di vaccinazioni richieste per quel tipo di lavoro.
Arriva il suo turno, entra. Ne esce presto. Ora è il mio turno; ci salutiamo e ci auguriamo reciprocamente buona fortuna.
Una mattinata che sarebbe potuta essere noiosa si è trasformata in una mini-avventura nel fantastico mondo della pubblicità e delle relazioni umane!

 

 

 

 

 

 

 

 

Un salto nel tempo

Sto mangiando delle patatine di una nota marca. Apprendo che questa fabbrica nel 1930 aveva anche una gastronomia per famiglie. Immediatamente le patatine mi fanno l’effetto madeleinettes di Proust e mi ritrovo col pensiero a tanti anni fa. Ero in pausa-pranzo in una di queste costose gastronomie del centro, che hanno aperto a noi proletari fortunati possessori di ticket-pasto. Puoi mangiare in mezzo a confezioni di caviale e altre prelibatezze disseminate qua e là come fossero foglie in giardino. Che lusso! Insomma ero in coda e stavo ordinando pesce e purè. Lo dico proprio così, purè, con la u normale e la e aperta, come si dice in italiano, altrimenti bisogna dire purea ma suona antico. Subito uno “dal pubblico” mi rifà il verso ripetendo la parola ad alta voce e accentuando la e aperta. Il commesso – anziano ma un po’ fighetto – mi chiede: “vuole del purée?” accentuando la e stretta e la u milanese/francese. Non ho avuto la prontezza di riflessi di rispondergli, altrimenti sarebbe stato carino dirgli: «Oui, je voudrais de la purée, s’il vous plait» accentuando il fatto che purée in francese è femminile. O parli una lingua o parli l’altra, basta che parli bene! In milanese purè è maschile, e in italiano si dice come ho scritto più sopra.
Tempo dopo ero ad un concerto dei Madredeus. Dopo lo spettacolo uno dei musicisti ha voluto salutare il pubblico in italiano e, apriti cielo, ha usato il passato remoto. Ha detto: «l’ultima volta che fummo in Italia…». Un tipo dal pubblico ripete “fummo” ad alta voce con aria di scherno. Non ci credo, che imbarazzo verso i musicisti e la bravissima cantante! Deve essere di sicuro quello del “purè!”.

 

 

 

 

 

 

 

 

"Il Bacio" di C. Brâncuși

“Il Bacio” di C. Brâncuși

Amori diversi

So dove abiti. Potrei appostarmi, guardarti di nascosto. Con l’abilità di una stalker potrei annotarmi tutti i tuoi spostamenti Ma non lo faccio. Non sono una persecutrice. E poi le telefonate . Niente di volgare…  qualcosa del tipo: «Ti ho visto ieri, senza maglietta… Hai questo bellissimo colorito dappertutto… Fai la doccia solare? Ah, non sai che cos’è? Dunque, è una cabina, dove tu entri ti spogli e… Ah, prendi il sole facendo il bricolage in cortile?» Questa telefonata sta prendendo una piega tutt’altro che sexy. Sembra un dialogo tra due compagni di scuola dodicenni. E allora avevo pensato di ricorrere a qualche espediente erotico, per non darti scampo. Un salto al sexy shop più vicino: top e mini di pelle nera… e le calze, naturalmente. Agli uomini piacciono le calze nere e quindi piaceranno anche a te. Gli stivali, poi, imprescindibili: una donna normale con gli stivaloni si trasforma immediatamente in una strafiga – così ci si esprime, nella nostra società -. Una nuvola di profumo, discreto ma sensuale. E poi qualche oggetto utile, non so, panna spray con le fragole, magari un paio di manette per fare un po’ di scena. Per il resto basto io, non mi serve roba strana.
«Ciao! Ti trovo bene! Hai un aspetto… brillante! (Ci credo, due ore dall’estetista e una dalla parrucchiera… Meno male che il risultato un po’ si vede!)».
«Bella, questa maglietta con Titti il Canarino! Fammi leggere cosa c’è scritto… »
«Te lo dico io, che cosa c’è scritto»
«Ora che prende gli occhiali facciamo notte».
«Allora, dice così: “Do you think I’m…»
«Ecco, ora la vedo bene, la frase finisce con la parola “sexy”. Hai fatto altri acquisti… Che cos’è quella roba pelosa che sbuca dal sacchetto? Sembra un paio di manette… Di pelouche…» (Si gratta la testa un po’ perplesso).
«Sì, le ho comprate per fare uno scherzo a una persona che conosco».
Intanto nascondo in fondo al sacchetto gli altri oggetti, saluto
– scambio di bacini – e vado via.
Niente male per un “bottino” proveniente da un sexy shop.
L’ultimo grido in fatto di sexitudine, proprio…  Maglietta buffa, profumino solido “Vaniglia e crostata di pere”, set di condom a forma di testa di Topolino… ( Non saranno scomodi, con tutte quelle orecchie?). Sob! Mi sembra di avere fatto la spesa a Paperopoli!). Devo escogitare qualcos’altro.

«Hai fretta o puoi aspettare dieci minuti?»

«Si, posso aspettare» .
Si siede e attende con pazienza. Chiude perfino gli occhi.
Perfetto.

«Tanti auguri a teeeeee!».
«E’ un giallo! Grazie! Come facevi a sapere che mi piacciono i gialli?»
Rimango un po’ perplessa. Mi ha raccontato praticamente tutta la sua vita la terza volta che ci siamo visti e ora non ricorda più niente. Strano, con una testa così grossa!
Mi saluta. Lo guardo infilarsi il casco e salire in moto. In pochi secondi è già lontano. Mi pare di non aver fatto molti progressi neanche questa volta. E ora, che cosa faccio? Sarà timido o indifferente? Potrei non scoprirlo mai.
«Ciao, come stai? Vai di fretta o puoi salire un momento da me? Voglio farti vedere una cosa ».
Forse la faccenda comincia a prendere una piega interessante!
«No, non ho fretta. Certo che salgo, figurati».
«Che bella casa, complimenti! Proprio come piace a me: pochi mobili essenziali e tanto spazio. Sì, non ti preoccupare, ti aspetto qui! Torna presto, mi raccomando!».
«Ma… che cosa ti sei messo?» mi avvicino per guardare meglio.
«Un paio i mutande di pelliccia? Te le ha prestate Fred Flintstone? Ah, le hai comprate al sex-shop della Stazione, capisco… Quello in via Nonna Papera angolo Piazza Qui Quo Qua. Abbiamo lo stesso fornitore, il ché spiega alcune cose. Ah, te le hanno espressamente consigliate per queste occasioni, effetto garantito? Beh, un effetto lo stanno avendo sicuramente… Mi sto sbellicando dalle risate! A questo punto abbiamo due possibilità: o ti togli le mutande oppure ti rimetti i pantaloni!  Come dici? Ti ci sei già adattato e le trovi comode? Capisco. Si, sto andando via. No, non accompagnarmi, conosco la strada…. Ci vediamo alla prossima,  si fa per dire». Trovata sexy!

Versione sintetica del racconto Yin-Yang, Notte-Giorno, Donna Uomo pubblicato per Ennepilibri Edizioni – Imperia 2012 – nella raccolta Tra il fragore del treno e del mare – Racconti brevi e poesie di Patrizia Destro.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal web

 

 

Il bar tutto blu

(omaggio a Stefano Benni)

«Vieni, sediamoci su quella conchiglia, è libera. Io prendo un’acqua tonica all’alga rossa e tu?»
«Io un doppio centrifugato di plancton. Allora, Filippa, raccontami di questo meraviglioso maschio che hai incontrato».
«Si, Clara, una cosa da non credere! Ero lì per i fatti miei che mi stavo mimetizzando tra la vegetazione quando è comparso lui, bello, alto, guarda non esagero, almeno 15 centimetri cresta esclusa, profilo nobile, colori brillanti. Arriva e mi dice: “Bubu settete! Ti ho trovato, ora mi nascondo io e a te tocca cercarmi!”».
«E come si chiama questo fenomeno?»
«Duccio. Bel nome, non è vero?»
«Ma non mi dire, Duccio il Cavalluccio! Ahahaha! Mi fai ammazzare dalle risate, Filippa!»
«Ehi, non prendere in giro il mio solo e unico amore!»
«Ah, siamo a questo punto? Allora continua a raccontare».
«Dunque, lui si nasconde, io lo trovo e cominciamo a danzare nell’acqua con le code allacciate. Abbiamo volteggiato per ore, ogni giravolta un bacio, a testa in giù, a coda in su… Avevo le vertigini ma ero felicissima! Poi ci fermiamo, lui mi guarda e dice: “ora lo sai che cosa devi fare” “No, che cosa?” gli rispondo stupita. “Devi mettere le tue uova in questa tasca, vedi? Poi farò tutto io. E’ la prima volta che ti riproduci?”».
«Bè, si. Perché invece tu?»

«Mica le sto a contare, per chi mi hai preso? Dunque, ho avuto 234.852 figlioli, cento più cento meno».
«Ah per fortuna che non li avevi contati! –
«A quel punto lui diventa tutto rosso, controlla che nella tasca ogni cosa sia a posto e mi propone di danzare ancora un poco. Da quel momento sono andata a trovarlo ogni giorno; anzi, scusa si è fatto tardi. Siamo alla quarta settimana di incubazione, i piccolini potrebbero arrivare da un momento all’altro! Ciao, Clara!».
«Ma si, vai pure dal tuo cavalluccio dal nome antico!» borbotta l’ippocampa tra sé e sé.
«Io se non incontrerò almeno un Kevin o un William non mi riprodurrò mai e poi mai! Sono moderna, io! E poi lo sapete come si dice, un nome una garanzia!».

 

 

 

 

 

 

 

 

Key4biz

Key4biz

Perversioni ridicole (ma molto pericolose)

Andavo matta per le percussioni.
Suonavo e danzavo,
danzavo e giravo su me stessa
veloce
sempre più veloce…
Ero drogata di lavoro, ogni genere di lavoro. Ero capace di prendere l’idea più nobile e trasformarla in un incubo, per me stessa e per gli altri. Sono stata indefessa donatrice di sangue, strenua difenditrice di foche e di balene, sostenitrice di lontani popoli in via d’estinzione. Nominate una causa, una qualunque, e vi dirò che io l’ho perorata. Tormentavo me stessa e gli altri per costringerli a fare di più, sempre di più. Perfino una semplice corsa tra amici diventava un delirio, per il mio malcapitato accompagnatore. Con me c’era sempre un nuovo record da raggiungere e superare. Il tutto dopo aver lavorato dodici ore al giorno, si capisce: ci sono doveri che hanno la precedenza. Andavo al lavoro un’ora prima degli altri e uscivo un’ora dopo. Tutto doveva essere perfetto, controllato due, tre volte. Volevo tenere a bada ogni cosa, niente doveva sfuggirmi. Dopotutto io ero il capo. Responsabile di punto vendita. Non mi rendevo conto di quante volte ho usato il lavoro come una scusa per assumere un comportamento disumano. Neppure il giorno in cui una collega, che al pari delle altre spronavo a produrre di più, a fare meglio e nel minor tempo possibile cadde da una scala. Era incinta. Si ruppe un braccio e per poco non perse la sua bimba.
Una leggenda vuole che le persone lavoro-dipendenti siano molto produttive e che svolgano bene i loro compiti. Che patetica illusione! Io ero scarsamente produttiva, molto disorganizzata e per nulla creativa, come tutti quelli uguali a me. Per la maggior parte del tempo facevo solo del gran teatro e basta.
Un giorno mi accorsi di essere infelice. Tutta questa smania di tenermi occupata per settanta -ottanta ore alla settimana nascondeva una terribile paura del tempo libero. Mi sentivo sola. Ero sola. Nessuno voleva più frequentarmi, neppure per un caffè o un panino in pausa pranzo. E così lasciai tutto e mi dedicai alle percussioni, la mia passione di sempre. Bongos, batteria, tamburi tribali… Suonavo e danzavo, danzavo e giravo in tondo veloce, sempre più veloce. All’inizio per due ore al giorno, poi le ore divennero dieci, dodici… mi dimenticavo di mangiare e dormivo pochissimo.
Ero riuscita a portare il mio atteggiamento da drogata del lavoro nell’unica vera passione della mia vita: la musica.
Andavo matta per le percussioni. Ora sono matta e basta e attendo il mio turno al Centro Psico-sociale. Il dottore mi deve aggiustare la dose di pastiglie. Mi consiglierà anche un luogo dove potermi disintossicare. Così mi ha detto: un posto dove mi insegneranno ad utilizzare il mio tempo libero in maniera proficua ma rilassata, ora che ne ho a disposizione tantissimo.
Forse troppo.