Sintobiografia e sintoscritti di Pablo Maximo Taddei
Pablo nasce a Buenos Aires, da genitori di origini italiane. Conduce studi classici. Con la famiglia si trasferisce in Italia, per la situazione politica legata alla dittatura militare. Negli anni ottanta torna in Argentina e collabora con la casa editrice Cisandina. Inizia la sua ricerca teatrale che lo porta a definire una nuova tecnica vocale, quella degli “psicosuoni”, (progetto mnemonico ovvero amnesie della creatività), rifacendosi all’antico teatro Greco, dove la parola tragedia deriva dal vocabolo traghizein (τραγὶζειν), cambiare voce. Nel suo percorso di ricerca sull’uso della voce, ama spesso citare Friedrich Nietzsche: “Ciò che nel linguaggio meglio si comprende non è la parola, bensì il tono, l’intensità, la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate. Insomma la musica che sta dietro le parole, la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione: quindi tutto quanto non può essere scritto. Per questo lo scrivere ha così poca importanza”. Tutta la sua ricerca è concentrata sull’attore: e lo studio della maschera (commedia dell’arte) è stato conseguenziale. Così definisce la maschera: “il volto è, ovviamente, una variante di infinite maschere… e la fissità della maschera ha la necessità di coinvolgere il corpo… per avere altre possibilità espressive così, inevitabilmente, scatena un corpo a corpo tra lei e la “faccia mancante”, perché dietro la maschera non c’è il volto, c’è un io irreperibile che per ritrovarsi si fa corpo. Non a caso l’espressione latina dramatis personae, tradotta alla lettera, significa “maschere del dramma”. Innumerevoli sono gli spettacoli che sono stati messi in scena con il suo metodo. Questa sua ricerca è già stata sperimentata nei conservatori di Perugia, Frosinone, Accademia Silvio D’amico di Roma e Università La Sapienza di Roma e in Tourée europee ed extraeuropee. Innumerevoli sono gli spettacoli diretti dal regista Taddei.
La mia vita è uscita dalla fondina del revolver e
si è appoggiata sul tavolo della fine.
E… giù!
Dentro la pentola dell’infinito.
L’esistenza è altrove.
Quando sono con te…
la notte siede sul trono dei sogni.
Si ubriaca di stelle e lascia cadere,
uno ad uno,
i granelli di luce nei tuoi occhi.
Le comete lassù torcono le code e
puntano verso il nostro mondo.
La notte malaticcia e in fin di vita
resuscita il giorno…
Io e te, nel grembo dei sogni,
pieghiamo il cielo verso di noi.
Vorrei…
appoggiare la testa sulla tua spalla
per guardare il muro bianco
che squarcia gli infiniti…
Vorrei escluderti dal quotidiano.
Vorrei immaginarti
anche quando sei con me.
Un quadro sfondato nel cielo
dipinge nuvole pestate dal freddo della mia anima.
Ho trovato un tuo capello sul cuscino…
I ricordi mi vogliono proprio dimenticare.
Povera luna solitaria…
aspetta con ingordigia la sua alba.