Sintobiografia e sintoscritti di Maria Rosa Oneto
Maria Rosa, nasce a Rapallo, in provincia di Genova.
Sin dalla più tenera età conosce il sapore della diversità.
Ottenuto il Diploma Magistrale s’iscrive alla Facoltà di
Pedagogia dell’Università di Genova, senza poter ultimare
gli studi per motivi di salute.
Ottiene la qualifica di giornalista pubblicista e inizia a
partecipare a vari Concorsi Letterari.
Le sue poesie sono presenti in svariate antologie collettive
e personali Raccolte Poetiche.
” … Abbracciata al mare che ride, respiro brezza e briciole d’amore “
Riflessa in una conchiglia
Elogerò il male ricevuto,
l’oblio che distrugge il pensiero.
La sorte immonda
di chi mi ha dannato.
Pregherò, poco convinta d’inutili parole,
davanti al sepolcro
dove sono stata carcerata.
Ridendo forte
straccerò fogli di carta.
Note senza suono dove ho ballato
un tango in assolo, persa nel vento di settembre.
Nuvole di fumo, la cenere cade.
La bocca dipinta da stupri e illusioni.
L’anima ho estirpato dalle carni molli,
rivestite da strati di stoffa,
da collane di perle finte,
da sguardi assetati di mare e speranza.
Porgerò ancora il mistero della poesia.
Eterna davanti alla morte,
intrappolata alla luce del giorno.
Riflessa in una conchiglia
che l’onda ha sbattuto sulla riva.
In memoria dei Morti del Bangladesh
I Morti non parlano.
Tacciono per sempre.
Su di Loro si stende il velo del dolore.
Hanno pianto, sussurrato “t’amo”
chiesto aiuto a Dio prima di spirare.
I Morti non svegliano nessuno.
Giacciono fra catene d’ombra.
In preda a un delirio che sa di preghiera.
Hanno vesti di lino,
di seta sgargiante.
Braccia femminili,
scarpe lucidate a festa.
I Morti meritano silenzio.
L’alzarsi di un cappello infeltrito.
Una rosa gialla abbandonata in disparte.
Brandelli di carne raccolti
nella teca della spiritualità umana.
I Morti non parlano.
Tacciono al presente.
Vite che il destino
aveva riunito in un brindisi serale.
Volti strappati al sorriso.
Ventri squarciati dall’iniquità
I Morti stanno in silenzio.
Nell’attesa di un lume acceso
nella notte più buia.
Perle di lacrime
Ama,
ridi,
sotto pergolati di neve,
di glicine aulente.
Balla,
salta,
alle foglie di maggio
portate dal vento.
In quello scorcio di mare
che ti ha dato i natali,
una bocca fremente,
un cuore impaziente di tramontana.
Sogna,
spera,
nell’alba infuocata
da profumi e mistero.
L’usignolo già si posa
dove l’Oriente disegna la sua passione.
Canta la gioia della vita
tra un chiaro di luna
e perle di lacrime assopite.
Un cardellino
Il dolore posava sul cuscino.
Trillo di cardellino
tenuto sulla spalla.
Più non guardavo il cielo spento.
Rimasugli di una stagione avvizzita.
Scorre il tempo in una nenia funebre.
Assaporo la nostalgia di momenti mai svelati,
di esangui tormenti
nell’estati del presente.
Scivolano le parole
sopra un dramma senza senso.
Attrice, donna, a passeggiar la sera.
M’inchino all’anima fedele.
A quello scorcio d’azzurro
nel quale mi hanno rinchiusa.
Avvilita ho sbranato il silenzio.
Fredda la pelle accanto alla stufa.
Rossori d’innocenza
dipinti sullo specchio.
Mi guardo nello scandalo di un’esistenza persa.
Lo stesso pudore
di un cardellino cieco
che ancora canta felice alla finestra.
In cerca di un incanto
Triste è il vento che mi scuote.
Trucioli di nubi impalpabili rasentano il mare.
Resisto come brandello di carne appeso all’infferiata.
Non sento più l’anima parlare al mio cuore.
Nel deserto che ricopre l’ultima speranza
nascono fiori di carta,
sassi d’ematite,
rovine dalle guglie arrugginite.
Canto in silenzio
per non svegliare il torpore
di uno spirito stanco.
L’ebbrezza dell’estate morde e
divora inconsistenti preamboli sentimentali.
Non palpita vento sulle dune
dove il tempo si è fermato.
Lo sguardo si allarga,
fugge in sordina,
divaga tra palme verdeggianti.
e si fa vela per lidi
in cerca di un incanto.
Il Dio della Passione
Malinconia di un giorno solitario.
Trema il vento le sue pene.
Raccolgo l’umiltà
in un sorriso stentato.
Quel brivido intenso
che l’anima percuote
con tasti di pianola.
Nell’ombra
scrivo senza riflettere,
senza indugiare.
Nessun pensiero
annega il cuore.
La tristezza: una trottola da far girare
col tocco veloce delle dita.
A bocca spalancata respiro silenzio.
Quell’incertezza naturale che non è odio,
né amore o tentazione carnale.
Nel chiuso di una continua gestazione
partorisco il dolore di sempre
che si ripete, si rinnova come cantico sublime
al Dio della Passione.