Sintobiografia e sintoscritti di Maria La Bianca

 

 

labiaSono nata in Sicilia, sul finire di un’estate.
Capelli rossi, ora, erano biondi. Girandole al vento
e pezzi di me, donna.
Ballo il Walzer, leggo romanzi e scrivo poesie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aspetto il mio traghetto
senza riparo dal sole
verso il miraggio di un’isola
le sue case bianche
con i sorrisi aperti nell’azzurro

 

 

 

 

 

 

 

 

Brindo alle sconfitte

Ché la vittoria basta a se stessa
e non serve altro spirito
all’anima.
Nella sconfitta si ferma la corsa
e serve al fiato un sorso più caldo.
Così levo il calice
ai vincitori
e mi inchino
in omaggio alla loro caparbia esistenza.
Per me c’è un altro giro
e altra corsa mi attende
in salita.
Ma l’anima non perde mai
conserva
e ritrova il respiro più in alto.
E allora brindiamo
alla vita e ai suoi doni
vincitori e perdenti confusi
nello stesso calice
rifugio profuso
al passo solerte del mondo.
 

 

 

 

 

 

 

 

Gil

Come è lungo il tempo delle attese

Con un bicchiere in mano
e un sorriso di prova
senza spilli.
Hai la vita che passa nei saluti
parole dette in fretta
senza senso.
Hai il gioco dei pensieri tra le mani
lasciate scivolare in un sussulto.
Poi
verrà il sonno
e il giorno.
Farà più caldo ancora
senza il vento
carezza offerta in cerca
di risposta.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ti ho perso per stanchezza

Tra le pagine di un libro
che non ho mai scritto.
Il tempo non controlla gli incontri
e gli sfugge un battito imprevisto
del cuore.
Le storie d’amore sono tutte grandi
ma la più grande non sono stata io.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tu, bambino, non guardare…

Guarda mamma, ci sono ancora le luci in cielo.
Sento il rumore del motore bambino mio
e solo buio che precipita come coltre
sui tuoi occhi ed i miei.
Le luci si sono confuse con il sangue
scorre sulla via tra un corpo esposto
e un altro pietosamente coperto.
Tu, bambino, non guardare.
Lascia queste immagini di morte
per tutti quelli che non sono stai qui.
Loro avranno giorni ancora per il pianto
e parole di cordoglio mentre scorrono
inutili sui loro osceni display.
Le luci, mamma, ci sono ancora le luci
in cielo.
Perché copri il mio volto con la mano?
Non guardare. Da quassù
vedresti solo la paura rappresa sull’asfalto
la stessa trascinata a terra con i piatti
e i bicchieri mentre si spegne la musica.
Uguale a quella bruciata viva tra le case
e terra nuda di una terra
diversamente lontana da qui.
Naufragata in prossimità dell’approdo
col volto riverso sulla spiaggia
è stampata in ogni fotogramma a colori.
Perché mi dici tutto questo, mamma?
Io volevo solo vedere le luci, in cielo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal web

Chiaroscuri

Non cerco altri colori a questa sera.
Mi bastano i suoi grigi.
Sfuma il nero
sulla mia pagina
a sbiancare il tuo volto.
Facciamo così:
sei tu il pittore
e non ti dico i colori.
Ma tu riempi le forme
confondi i contorni.
Non badare al disegno
questa sera.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci sono dolori che puoi raccontare

Trovi le parole
alcune dette piano
nel rincorrersi sul rigo
e altre urlate fuori dalla pagina
e dai versi.
Dolori per ogni età
come i graffi sulla pelle
e il pianto di bambina
consolato con un bacio
e una carezza.
Ci sono dolori
che non trovano riparo nei passi
e non serve al sollievo
fermarsi.
Dolori per le mani che stringono l’aria
e ricacciano in gola
tra un singhiozzo e un attimo
di pausa al respiro.
Dolori
come questo restare immobile
senza pianto
né parole
solo in attesa
e non sapere di cosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nemmeno con un fiore

Con un fiore
posso raccontare una storia
di ghirlande intrecciate sul capo
e ricorrenze
sfiorate in battito d’ali.
Con un fiore
ci sono stati giorni più accesi
sui balconi
e tavole apparecchiate
di famiglia in attesa.
Con un fiore
ho ricordi di bambina tra le mani
per l’ultimo giorno di scuola
e un sorriso in più
da conservare
tra i compiti per le vacanze.
Con un fiore
sono cresciuta nelle pagine di un libro
asciutto più delle mie lacrime
per ogni incontro lasciato
indietro.
Con un fiore
ho ballato sotto un cielo caduto
e ho raccolto
ad una ad una le stelle
a mani nude tra le spine
e i sassi già lanciati.
Con un fiore
non si picchia una donna
e un uomo
nemmeno.

 

 

 

 

 

 

 

 

christianCoigny

Christian Coigny

Donna

Posa il capo sulla spalla
lo sguardo oltre l’orizzonte.
Il mare a cancellare
i passi fermi sulla riva.

Ascolta la musica andare
e tornare tra onde
come schiuma nel tempo
ubriaco dei giorni.

Non vede null’altro
niente chiede al sentire
se non il respiro accordato
al battito lento nel petto

la donna.

 

 

 

 

 

 

 

 

Non fa buio presto

Tra le chiome scure degli alberi
sulla via
resta più chiaro il cielo tra i richiami
dei passeri di città
abituati ad altri suoni tra i rumori.
E sono altri i giorni
fino alle luci accese delle insegne
e i passi frettolosi di chi torna
mentre io vado
e non mi accorgo del buio.
Sono lampioni accesi i miei pensieri
tra il suono in festa delle mie parole.
Farà luce presto.

 

 

 

 

 

 

 

 

In un silenzio ossessionante…

… di parole mai dette
sono le voci degli altri.
Io zitta
aggrappata al silenzio.
Muro
pareti bianche.
Tutto quello che ho io l’ho lasciato altrove.
Sguardo in pieno viso
il mio silenzio si fa materia.
Passi che non tornano
sono il silenzio compagno.
Sono io il silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho preso per mano le mie paure

Le ho condotte con me
oltre il tempo dell’attesa
dove si impara
a muovere i primi passi
insieme.
Troppo attenta al loro equilibrio
sono stata
finché non hanno cominciato
a camminare da sole.
Così ora è tempo che io le lasci
libere di andare altrove
e ritrovarsi tutte insieme adulte
inutili.
Se barcollo fuori da ogni controllo
ho le mani libere ora
per cadere e rialzarmi e ridere di me.

 

 

 

 

 

 

 

 

È bastata una notte
0031

Sabatino Di Giuliano

 

 

Siediti.
Sull’orlo sfilacciato
di questa alba infinita,
nel chiaro rifarsi delle ombre,
il trucco al giorno.
Non sarà mai troppo
nel suo svolgersi lento,
né corto alla fretta
del respirare caldo,
il tempo che resta.
Avvolge nel suo manto
di cielo ogni stella,
l’attesa promessa
di essere luce,
lo sguardo sospeso.
Una notte soltanto
è bastata
a riprendere il buio,
il suo mistero
e la gioia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Guardando oltre le nuvole

Imperfezioni dense dell’animo
ancorato alla terra,
guardando oltre le nuvole,
di tempeste passate
resistenti memorie,
guardando oltre le nuvole,
riflesso inconsapevole
della paura del volo,
guardando oltre le nuvole
aperto nei tuoi occhi
e azzurro è il cielo
se
oltre le nuvole
incontra il tuo sguardo
il mio.

 

 

 

 

 

 

 

 

C’era una volta…
Milad Totti

Milad Totti

 

 

C’era una volta un re.
Lo videro, occhi sollevati
e sguardi chini,
spalle piegate alla zolla.
Passava, il re, nel suo manto
a raccogliere senza semina.
Evviva il re.
Labbra tese, nello sforzo salato del sudore.
E fu terra sollevata a pugno chiuso e sangue,
senza attesa di libertà.
Ma c’era un re, c’è ancora.
Carta moneta sonante e macero,
come la carne stritolata al montaggio.
Catene al polso.
Evviva il re.
Ancora nelle labbra e nella voce
confusa, nel frastuono antico
della piazza in festa.
Processioni e inni alzati immobili
in schermi di vita rubata.
E catene a trascinare il passo.
Morte al re e al suo suddito applauso.

 

 

 

 

 

 

 

 

labianca

Xaxor

Un pretesto qualsiasi per vivere

Uno, uno solo e poi tutti insieme: per camminare scalza sui sassi e rubare l’azzurro al cielo; camminargli accanto tenendolo per mano
e ogni tanto fermarsi
in un giro di valzer con le onde
e portarsi dentro la spuma,
musica del mare e il suo blu,
colore più intenso della vita.
Anche senza pretesto.
Ché a guardarla negli occhi
la ritrovi, cielo e terra percorsi
e tuffo nuovo.
E riemergi in un respiro.

 

 

 

 

 

 

 

 

Scelse le stelle

Ce n’erano ad ogni angolo
nascoste in attesa nel buio.
Grandi e luminose alcune
e altre così piccole
da confondersi
in un battito di ciglia.
E quando inciampò
in un lampo improvviso
fu nuova luce
e seppe di averle scelte
tutte in uno sguardo
e una sola.
E fu scelta anche lei
e le bastò.

 

 

 

 

 

 

 

 

A.S.Moya

A. S. Moya

    Ring

Liberare la rabbia
Urlare ciò che voglio
O che vorrei
Rotolare nel fango
Delle passioni
E sporcarmi
Spaccare tutto
E farmi male
Graffi sulla pelle
A sangue
Per ogni rinuncia
Aspettativa delusa
Speranza tradita
Lottare ancora
Con i nervi e le mani
Con le parole
Che non volete
Sentire
E prendere pugni
E venire
Ricacciata
Nell’angolo
Da cui
Vi guardo
Impotente.

 

 

 

 

 

 

 

 

alex conti

A.Conti

Dove si incontrano gli aquiloni

Dove vanno a incontrarsi
gli aquiloni sfuggiti alle mani
quelli strappati dal vento
quelli che mai presero il volo
rimasti senz’anima in croce.
C’è un posto oltre lo sguardo
che non si arrende al filo
e racconta dei colori accesi
alla speranza del volo.
Perché non c’è filo appeso
trattenuto tra le dita e nel fiato
per i miei aquiloni liberi
di portarmi più in alto del cielo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è rosa solo all’alba il cielo.

Sfuma in giorni pieni
per tutta la vita il rosso
di una ragazza
forte più dei suoi tempi.
Comincia presto la lotta
e l’amore resiste
per gli anni che verranno
liberi dal perbenismo
dei compagni.
Restano pagine asciutte
più lucide degli occhi
nei titoli amari per un tempo
avaro di speranza.
Resta lo stesso cuore acceso
tra il grigio dei capelli
e il commiato.
Anche i partiti muoiono
ma la ragazza rossa
è sempre là
con quel suo sguardo fermo
nel nostro
in ogni intenzione
mai rinnegata.
E ora è un po’ più rosa
il cielo.

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima volta che usai un rossetto

Era un rossetto antico, dimenticato in fondo ad un cassetto, ché mia madre non aveva l’abitudine di usarne. Sarà stato comprato da papà, per qualche cena elegante con i colleghi e le di loro signore imbellettate. Ripenso a mia madre col vestito della festa, le scarpe strette e il rossore naturale sulle guance. Per amore, solo per amore avrebbe potuto farlo. Il rossetto no. Così diventò il mio gioco proibito, chiusa in bagno, finché restai bambina, da quella volta che per la prima volta usai un rossetto per poi non usarne più, per un bel po’. Così ora che ho comprato il mio primo rossetto rosso è come la prima volta che lo usai. Un gioco. E c’è sempre qualcosa di nascosto nel cassetto e di proibito.

 

 

 

 

 

 

 

 

Pin it

Pin it

   Freddo

È arrivato, era atteso.
Annunciato
in giorni increduli di sole
arroccati al suo calore
sbeffeggiato
e lo stesso assaporato
nel viso proteso
il bucato steso
braccia scoperte di ragazzi
ai tavolini sul marciapiedi.
È arrivato
zuppo di pioggia battente
nel collo raccolto dei cappotti
stretto con le mani sul petto
e il passo veloce delle gambe
sferzate dal vento.
Sceso da lassù dicono
indicando col dito
un lontanissimo nord
improbabile da capire
qui dove il cielo si apre
più in fretta del freddo
che ora è arrivato.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il picchio disse un giorno alla formica

Salivano lente in muta processione sul tronco di un albero nel bosco
quando la lunga fila fu spezzata dal becco di un tipetto un poco losco.
A caso fu colpita una formica che aveva, ahimè, intrapreso la salita
insieme a una sorella più sfigata che ci lasciò nel colpo la sua vita.
Rimasero confuse le compagne che si dispersero tra i rami e la radice
mentre la poverella zoppicava senza sentire quel che il picchio dice.
Io sono un uccello assai testardo e non mi stanco di battere in un punto
per costruire un nido più capiente senza bisogno di altro ramo aggiunto.
Voi scavate la terra per la tana e poi vi arrampicate senza sosta
ma io quassù sto per i fatti miei e non m’importa se una vita costa.
Piuttosto vengo a prendervi laggiù in un sol colpo mirato con la lingua
ché il mio più alto battere alla fame concede solo il tempo di una tregua.
Così dicendo spiccò in basso il volo sul foro posto in cima a un formicaio
e poi tornò già sazio al suo lavoro schivando con il becco un lombricaio.
Questi me li conservo per la cena, pensò con l’acquolina in bocca,
tanto ora che il foro è già allargato a casa mia nessuno me li tocca.
Intanto le formiche un po’ più in là un’altra fila avevano formato
perché è poco il tempo per il pianto di chi alla fatica è destinato.

 

 

 

 

 

 

 

 

Di pelle e silenzio

Di pelle e silenzio sono distesa
muta nell’immobilità del pianto.
Percorro la distanza in un pensiero
a difesa, ultimo baluardo, roccaforte
che non cede all’abbandono.
Non senti come si confonde il tempo
nei passi trascinati, nelle stanze
tutte le luci accese e il buio dentro?
Passano i giorni. Tornano le notti.
Il carico del vento non ha lasciato foglie.
È rimasto un petalo di rosa
tra le note ingiallite di un diario
e le sue pagine ancora da riempire.
Un petalo, un pensiero e la pelle
per un altro racconto e la sua voce.
Ora danzano le parole sulle punte
su un rigo improvvisato di cartone
duro alla musica dolce del tuo nome.
Non c’è suono che allontani la distanza
e resto in questo corpo a corpo di silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

E. Ozsahin

E. Ozsahin

Io sono

Sono la scala in salita
stretta tra muri compagni
di case affacciate.
Arranca il passo e manca il fiato
in uguale sequenza
accolgo lo sforzo e la sosta.
Ombra che si allunga
e spiraglio di luce più avanti
spingo incito sostengo
e torno in discesa
frenata senza fretta
nella paura del salto.
Sono la scala la salita
la meta e il suo ritorno.
Sono il silenzio necessario
e la parola sovrabbondante
che lo esalta.
Sono la pietra nel gradino
la sua terra verde
di parietaria in festa
e acqua di tetto che scorre
a riparo dal cielo.
Sono uscio paziente
aperto battito consolante
e attesa presenza
sono.

 

 

 

 

 

 

 

 

I bambini

I bambini disegnano stelle a punta
e sorrisi in soli perfettamente tondi.
Hanno altalene di luna e vasi in fiore
nelle case di pareti trasparenti.
Trasparente è il blu del mare
per il rosso dei pesci in un guizzo
e nel verde di un prato traspare
l’arcobaleno fiorito.
Sono tutti i colori del mondo
il sorriso dei nostri bambini
con i piedi sulla terra e la testa
tra soffici nuvole bianche.
Hanno spezzato le punte alle stelle.
Restano
come lumicini accesi nella notte
troppo vere per il disegno
di bambini rimasti al buio
nel deserto nero del mare.

 

 

 

 

 

 

 

 

Anna87

Dal web

Era in vendita ma non lo sapeva

Giocava sulle scale.
Lei e la sua bambola nuova
si raccontavano favole.
Non era un principe alla porta.
Restò la bambola sola
ad occhi spalancati sul niente.
Lei strinse il buio nei suoi
e la mano dell’orco.
Seppe il prezzo della fantasia
lasciata sulle scale
e imparò il gioco a rialzo.
Rubacuori nel nome
ma ogni cosa era stata comprata.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sonetto

Oggi è tutto poesia il giorno
e chiaro fa il tempo dell’ascolto
della notte il regno capovolto
dà riparo nell’ora del ritorno.

Come rondine che vola intorno
e punta al nido che le fu tolto
il verso sa le lacrime del volto
e lieve ne delinea il contorno.

Sono parole e vuoti di silenzio
accenti e rime pieni di tormento
salti nel vuoto e fiato trattenuto.

È il verso solitario del saluto
messo a riparo anche contro vento
nella tempesta incerta del giudizio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal web

Dal web

 

Provateci voi

Provate a essere là, sugli scogli.
Le braccia si tendono,
mani cercano le mani.
Non c’è tempo per lo sguardo
i corpi scivolano in fretta
l’acqua attende tra le onde.
Provate a essere là, sugli scogli.
Dalla parte giusta del mondo
con le scarpe sulla terraferma.
Non c’è tempo per la paura
devi solo afferrare e tirare
sperare d’essere più forte del mare.
Chissà se ricorderà il tuo abbraccio
il cucciolo di donna nero
se dimenticherà l’orrore.
Poi dimmi se puoi restare là
sugli scogli, e lasciarlo andare.

 

 

 

 

 

 

 

 

Se io fossi greca oggi

Se fossi greca oggi
avrei un canto sulle labbra
festa nei passi e nel segno
traccia decisa della mano.
Se fossi greca oggi
avrei una bandiera al vento
e in fondo al cuore
pronta anche alla sconfitta
libera dalla resa.
Se fossi greca avrei già vinto
senza altro desiderio di premio
se non il mio no sostenuto
e condiviso.
Invece cresce il mio sdegno
stretto ancora in giorni di protesta
contro muri di bandiere
negate al vento.
È ferma l’aria.
Sarà più calda del previsto
la piazza
in un sussulto disperato.
Canta ancora un no ostinato
sulle labbra e nel cuore
anche senza festa.
E una promessa di vento.

 

 

 

 

 

 

 

 

Timthumb

Timthumb

Senza titolo

Ora che sei un’immagine di copertina
senza il sorriso ignaro del dolore
sul volto rimasto impresso nella sabbia
e gli occhi chiusi per sempre
pietosa canta la risacca
culla e sudario senza lacrime.
Sarà ancora una riva a cui bagnarsi
in giorni di svago e corpi al sole
il lembo di terra per sempre consacrato
ai tuoi pochi anni e alla nostra vergogna?
Siamo tutti trascinati al fondo
sbattuti da quel sorso d’aria mancato
e ancora vivi noi per sollevare la testa
nello sguardo di tuo padre
oppure siamo già annegati
nell’abitudine dello strazio altrui?
Passerà in rassegna il tuo volto
il volto di tuo fratello
fratelli accanto a fratelli ancora
volti silenziosi per il nostro silenzio.
Non basta un minuto.
E vorrebbero essere braccia
presa forte che non ti perde
piccoli passi lasciati nell’impronta
e impronta più grande a seguire
le mie parole sottratte al pudore
di non sapere se non dire
e altro non sapere fare per te.
Ma ti prometto che oggi
e domani e domani ancora
proteggerò il tuo sorriso
in ogni volto di bambino e sarò terra
per ogni suo passo all’approdo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Pietra su pietra

Una pietra su ogni cosa
lasciata andare.
Niente
di ciò che vive resta sepolto a lungo.
Respira la terra.
Scavo e sollevo pietre
su pietre in alto
buche da riempire con le mani
nuova terra
e radici da ricoprire.
Pietra su pietra
si porta in alto il passo
e lo sguardo
scopre l’orizzonte
aperto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Niente per cena

Si erano nascosti nella tana, mamma coniglio insieme con il figli tremanti e stretti contro la parete perché nessuno arrivi con gli artigli. Da lì era passato un cacciatore con la cintura carica di piombo ma la fortuna volle che al momento fosse distratto dal volo di un colombo. Di uscire allo scoperto non c’è verso disse la madre ai figli già affamati ché se una volta abbiam salvato il collo non sempre saremo risparmiati. Si stringono più forte i fratellini implorando per un cespo d’insalata e la mamma che bene sa la fame allunga fuori il muso addolorata. Dentro la tana sarebbero al sicuro ma non può sentire ancora quei lamenti perciò vorrebbe superare la paura per dare ai figli qualcosa sotto i denti. Vola basso sull’erba uno sparviero uscito da una macchia lì vicino per procurarsi andando così a caccia se non il pranzo almeno uno spuntino. Niente da fare, non c’è proprio verso, dobbiamo sopportare a pancia vuota sperando che si stanchi di aspettare e a noi tocchi in premio una carota. Il giorno è lungo senza aver mangiato e arriva infine il buio che tutto inghiotte si fanno più flebili i lamenti mentre attendono la resa i predatori oscuri della notte. Nemmeno la speranza così resta a chi è vissuto sempre in preda alla paura e sarà la fame prima o poi a farlo fuori se non c’è stata ancora una cattura.
Riflette lo sparviero: «Che mi costa? Mi fo vegetariano a bella posta!».
Così fa fuori dei conigli l’insalata, mentre coniglia osserva preoccupata.
«Sparviero, mangi il pranzo dei miei figli? Un cancro ti consumi e ti si pigli!»
«Come gli dico che ti sei fatto vego e che ti sei mangiato l’insalata, che gli spiego?»
«Coniglia, sono tempi duri assai, voi state rintanati, io devo pur mangiare, tu lo sai. Bisogna che si cambi, non datevi alla fuga, non mangio più la carne, mi mangio la lattuga».
«Lo sai che hai ragione? Bisogna pur campare, anche a noi serve qualcosa da mangiare.
Venite qua ragazzi, guardate quanto è bello, si fa per dire certo, quest’uccello… se lui s’è convertito, mangiando la verdura, ci convertiamo adesso pure noi, senza paura!».
Ciò detto, in un sol salto i rosicanti si gettano sul povero sparviero tutti quanti, che colto senza dubbio di sorpresa
dichiara al mondo intero la sua resa.
La storia sarà trista ma ci insegna che non sempre è il fato quello che ci segna e che a capovolger la natura, non sai cosa t’aspetta, che c’è d’aver paura.

Seconda classificata alla sintogara "Favoleggiando"