Sintobiografia e sintoscritti di Marcello Vi
Preferisco la piazza alle quattro mura di una casa, perché sulla piazza si sfiorano storie che nulla sanno l’una dell’altra e che non sanno neppure di esistere, perché ognuna di queste storie profuma di inconsapevole importanza.
Così sputo parole e costruisco uno, due, decine di mondi possibili.
Adoro immaginarmi uomo, donna, padre, figlio, beone, innamorato, assassino, eroe e tanto altro ancora.
Racconto ciò che non sono e contemporaneamente, senza rendermene conto, sprigiono briciole di me.
Attraverso la scrittura riesco a regalarmi un sorriso, una lacrima, un’emozione. E se riesco a regalare qualcosa anche a chi mi legge e ad assorbire qualcosa da tutti coloro che scrivono, beh, allora forse le storie della piazza potranno finalmente stringersi la mano.
” Sento i tuoi passi allontanarsi,
mentre i battiti del mio cuore
rumoreggiano sulla pelle,
come eco in dissolvenza…”
Tutto alle mie spalle, rinasco
Doveva essere l’ultimo whisky della mia vita, ma il jazz ed una bionda mi crollarono addosso.
Le note di Chet e gli occhi della sconosciuta mi riempirono un altro bicchiere e poi un altro ancora e, non so come, mi ritrovai ad osservare il riflesso di un uomo nelle acque del fiume che avrebbe dovuto accompagnarmi nel mio ultimo viaggio.
Decisi di restare lì, ad attendere la morte della notte, seduto in compagnia dell’uomo che avevo dimenticato.
All’alba ricominciai a camminare, con il passo di chi non ha fretta.
Le donne amano i ciarlatani
La prima poesia che dedicai ad una donna era copiata e lei mi regalò un bacio.
La seconda poesia che dedicai ad una donna era copiata e lei mi regalò l’amore.
La terza poesia che dedicai ad una donna era mia e lei mi regalò una fragorosa risata.
Aveva ragione mio padre, quel gran maestro di vita.
Dammi retta, diceva, le donne si conquistano raccontando un sacco di balle.
Poi, quando sono cotte, puoi anche rischiare di essere sincero. Ma sempre con moderazione.
Il gioco delle parti
Il gioco delle parti, nella mia famiglia, si giocava tutte le sere, a cena. Mio padre, in silenzio, guardava il telegiornale. Mia madre, in silenzio, serviva a tavola. Io e mio fratello, in silenzio, sognavamo di diventare grandi.
Mi è rimasto dentro quel silenzio. Era così chiassoso…
A Pascal
Giorgio sapeva solo dipingere.
Poco prima di morire decise, per la prima volta, di dedicarsi un quadro. Non un autoritratto, bensì forme e colori che gli appartenevano.
Giorgio non terminò il quadro, ci lasciò prima.
Se ne andò sorridendo perché, dipingendosi, riuscì a rendere sopportabile il pensiero di quelle insopportabili persone che l’avrebbero dipinto come non era.
Se ne andò sereno perché, dipingendosi, riuscì fino alla fine a respirarsi.
Giorgio, mio padre, sapeva solo dipingere.
Ma lo faceva bene.
La donna del quadro
Il quadro mostra una stanza. All’interno un comodino, uno specchio, una finestra che affaccia su un azzurrissimo cielo ed un letto, sul quale è seduto un uomo con la testa tra le mani ed è sdraiata una donna, nuda, della quale si vedono solo gambe e glutei.
Io mi chiamo Carmen e sono la donna del quadro.
L’uomo seduto sul letto non lo conosco, però è l’attore principale del dipinto.
Io sono solo una comparsa, rivesto la stessa importanza dello specchio o del letto, e mi va bene, perché quel quadro è la vita di quell’uomo, non la mia.
Io ne uscirò.
Sono fatta così: mi piace entrare in un quadro, rimanere giusto il tempo affinché il protagonista possa comprare la mia immagine e poi uscire, per entrare in un altro quadro.
Ed intanto, tra un quadro e l’altro, vivo il mio ruolo di protagonista fuori dalle cornici.
Amarcord
È bella, bellissima, ha occhi profondi e neri, color dell’onice, labbra intense e capelli morbidi e scuri, ed una pelle olivastra che sa di antico, come quella di un’indiana.
Questa mattina, appena l’ho vista, ho pensato “è la donna più affascinante che abbia mai incontrato”.
Ero in coda all’ufficio postale e lei si stava dirigendo verso l’uscita, sicché ho accompagnato con lo sguardo il suo incedere aggraziato e leggero, fino a vederla scomparire nel sole. Nel medesimo istante l’impiegata alla cassa si è rivolta a me con asprezza, dicendomi “è il suo turno” e riconducendomi così al mio presente.
Allora ho rimandato l’operazione che dovevo fare ed ho seguito quella donna.
Ora è qui, distesa sul mio letto, nuda e preziosa. Sto ultimando il suo ritratto e sono triste, perché l’effetto del cloroformio tra poco finirà ed io, come sempre, dovrò sbarazzarmi di lei, della donna più bella che mi sia capitato di incontrare.
I colori di mezzo
Amo la libertà dei colori di mezzo,
quelli sospesi tra cielo e mare,
quelli che nessun azzurro cattura.
Con loro vola la mia fantasia.
Sensazioni olfattive
L’amore è
un rossore inusuale,
un incongruo profumo,
che potente biancheggia
squarciando l’aria, densa di inodore nero.
Un probabile domani
Il tempo segna, Marco. Non sto parlando di segni esteriori, ma di tutte quelle rughe che ci portiamo dentro e che, piccole o grandi, superficiali o profonde, giorno dopo giorno ci cambiano. Sto parlando di quelle cicatrici invisibili che influenzano le nostre decisioni e condizionano il nostro futuro; che costruiscono le nostre paure e ci costringono ad arrenderci e a morire lentamente. Oppure, ci obbligano ad aprire gli occhi.
Il tempo insegna, Marco. Ed io, oggi, ti voglio raccontare un probabile domani.
Un mattino mi sveglierò e tu non sarai accanto a me, non percepirò il tuo respiro che mi schiaffeggia la pelle. Mi precipiterò alla più vicina caserma di polizia e denuncerò la tua scomparsa. L’unico trucco che indosserò, sarà quello della mia preoccupazione. Sarò terribilmente credibile, Marco, perché tu lo ignori, ma io so fingere, so fingere bene. L’ho fatto per tanto, troppo tempo.
Inizieranno le ricerche e prima o poi ti troveranno. Non so quando. Non so dove. Lo deciderà il fiume, quando si sarà stancato di sporcarsi del tuo sangue.
Mi chiameranno per riconoscerti. Ed io ti riconoscerò, Marco. Spettacolari lacrime scivoleranno sul mio viso, mentre un sorriso, impalpabile e discreto, mi accarezzerà.
Infine osserverò il fiume che, oltre al tuo corpo, scorrerà limpido e pulito.
Esattamente come la mia vita.
Sapori in contrasto
Adoro lo spazio di tempo
che intercorre
tra una risata
e un bacio,
spazio dove
la mia amata solitudine
decide di farsi da parte
e dove l’attesa
lentamente svanisce
e si trasforma in sapore.
Sentii una musica
Sentii una musica provenire dalla soffitta,
un uomo suonava una pianola mai stata in quella camera;
e contemporaneamente al susseguirsi delle note
alcune immagini cominciarono a popolare la parete:
lui che mi accarezza,
lui che mi da una pacca sulla spalla,
lui ed io che ridiamo
ed altri semplici gesti, ignoti ai miei ricordi.
E mi venne voglia di abbracciarlo
ma non sapevo come abbracciare uno sconosciuto
ed allora lui mi tolse dall’imbarazzo e mi guardo’
ed io lo guardai
e compresi come abbracciare un padre, che non si è potuto vivere:
lo si abbraccia osservandolo, mentre suona una pianola che non c’è.
Oggi ho vent’anni
È il 1991 e sono a Berlino. Sto bevendo una birra, insieme ai tre amici di sempre, sotto un cielo rosso come le labbra di una donna elegante.
Abbiamo pochi soldi e quattro pezzi di muro avvolti nella carta. Ce li hanno venduti poco fa, all’ex confine tra l’est e l’ovest. Sono quasi certamente fasulli – in fondo il muro è crollato circa due anni fa -, ma li abbiamo comprati lo stesso.
Così siamo qui, con un pizzico di storia nelle tasche. Mentre guardiamo le vecchie trabant arrancare sull’asfalto, sogniamo di contribuire a costruire un mondo senza muri.
Mio padre direbbe che siamo degli illusi; che muri, di pietra o impalpabili, ce ne saranno sempre, perché sono più forti e concreti di qualsiasi sogno.
Secondo me, mio padre si sbaglia. Tra qualche anno vedremo chi ha ragione.
Intanto mi godo la birra e lo sguardo di una biondina seduta poco più in là. Ha due occhi azzurri come un lago di montagna, due occhi che ti viene voglia di usare come specchio.
Mi sorride. O meglio, il suo è un acconto di sorriso. Discreto come il cielo di Berlino.
Ora mi alzo e vado a conoscere quella ragazza e spero, stasera, di poter scrivere con lei una pagina del mio personalissimo libro di storia. Anzi, due pagine. Una ad Est e una ad Ovest.
E chissà, tra qualche anno, magari racconterò a qualcuno come è andata.
Giulia
Oggi nel parco c’è Giulia,
la donna che abbandonò tutto,
marito, figli e patria,
perché voleva giocare con la vita.
E Giulia ha giocato con la vita,
si è scopata un sacco di uomini,
con passione e con rabbia;
li ha scopati per denaro, per piacere,
talvolta per noia.
Ed ora, a piedi nudi nel parco,
balla, canta, ride
e pensa al marito e ai figli,
le uniche persone che ha amato;
le sole persone che ha ucciso.
Balla, canta e ride.
Tra poco tornerà nel suo appartamento,
nella prigione che si è costruita.
Voleva giocare con la vita,
voleva fottere la vita.
E Poi…
E poi c’è questo inusuale luglio travestito da settembre.
E poi ci sono nuvole piangenti che vestono il cielo di imprevedibilità.
E poi ci sono le pozzanghere, che trasformano le strade in torrenti.
E poi ci sono ombrelli che rapidi camminano e proteggono frenetiche solitudini.
E poi c’è un delicato cognac, che impreziosisce le mie emozioni.
E poi ci sono io, travestito da me stesso, che dalla finestra osservo.
E poi ci sono le sue mani, travestite da soffici piume,
che leggere scorrono sulla mia schiena, regalandomi sensazioni
che non so e non voglio descrivere.
Sara è diversa
Sara ha paura del cielo.
Vive chiusa nella stanza numero undici, in compagnia della sua solitudine. Protetta dalla sua pazzia.
Nelle orecchie, costante, l’assordante rumore di un pianto.
Il pianto della sua bambina.
Sara dipinge, ogni giorno.
Il quadro è sempre lo stesso.
Una donna, che le somiglia, osserva il mare, calmo.
Sull’acqua, galleggia una culla capovolta.
Dal cielo scende, leggera, una pioggia di lacrime rosse.
Sara ha paura del cielo.