Sintobiografia e sintoscritti di Giovanni Maria Cagnes
Nato il 10 febbraio 1965 a Catania. Quello che mi ha segnato sin dalla nascita è stato il mare. Se dovessi spiegarmi, lo farei paragonandomi a lui, con tutti i suoi movimenti, i suoi stati e ciò che gli appartiene. Ho vissuto la mia gioventù ai piedi dell’ Etna, sulle rocce nere di pietra lavica a strapiombo sul mare. Posso dire che ho viaggiato parecchio, sia per motivi di lavoro che per soddisfare il mio desiderio di scoprire. Dal gennaio del 1983 presto servizio nella “Guardia Costiera” nazionale, alternando periodi di imbarco su unità navali ad anni di volo sui mezzi aerei del Corpo. Ho tanti hobbies e mi piace conoscere tutto ciò che mi attrae e che disconosco. Preferisco parlare con i colori e riportare sui sacchi grezzi di juta i miei stati d’animo, usando direttamente le terre naturali con le dita e, se ne ho bisogno, con i gomiti e i polsi. Solo da poco scrivo ciò di cui sento il bisogno di dire e posso affermare che le parole hanno delle belle tonalità di colore se collocate nel punto giusto.
” Se solo potesse durare altri due minuti
questo mio breve sonno,
solo due minuti, solamente due.
Così da potermi risvegliare,
ancora, accanto a te
che dormi accanto a me che dormo.”
Silenzio
Così pesante
quando cade.
Raccolgo
l’ultimo fiore
della stagione
e lo nascondo
in mezzo
ai rovi.
Dormo così,
tutte le notti,
aggirandomi
tra floridi
aculei. Ove,
ingannandomi,
mani sciacalle
ti vengono
a cercare.
Mi manca il bianco
Se avessi il bianco a quante risplendenti realtà darei vita.
La curva bianca delle onde,
due o tre stelle lontane,
la neve ingenua,
forse, il riflesso di una pesca,
qualche scia nel cielo,
la tazza di un bambino,
potrei farci un uovo fritto,
un sogno,
qualche fiore di gelsomino,
la luna piena,
le strisce nella strada,
il tuo ” Ti amo “,
un fazzoletto,
le biciclette Bianchi,
le ali di quei tre o quattro cigni,
qualche sigaretta,
i gatti, avevo dimenticato i gatti,
un giorno, due giorni, tre giorni…
la notte nera,
no, la notte no,
la notte è mia.
Quando il vento va a morire
Veli,
sale sulla pelle
e non si asciuga
mai,
borda la prora che
esce dall’onda
per un profondo
sospiro e breve,
dopo s’immerge
ancora,
per respirare
tra le braccia sue.
Sole sbiadito
nascosto avanti
al cielo, dietro un
alone e non mi vede.
Senti passare la mia
provenienza e brandeggi
le tue vele, per il bisogno
di un momento.
Mi hai preso tutto,
dove è tutto o niente.
Io ti ho investita nella
balìa delle correnti.
Sono tornato per
mano di un ciclone,
per spingerci al destino
insieme, ma fu’ tempesta.
Adesso, oltre la tua
barca, porto con me
la sagoma tua, invisibile
agli occhi di altri venti.
Ora che sento ancora
addosso le tue vele,
senza sfiorare chi
ne ha bisogno,
da qualche parte
andrò a morire.
Basta un attimo a volte
Faccio raccolta di certe cose
che si chiamano tempo.
Sono diverse una dall’altra,
le metto vicine, e quando
le colgo sono distanti dallo
stesso tempo, mi piace
pensare che qualcuno le
ha perse distratto.
Quando le vedo mi brillano
gli occhi e non mi curo del
mio mal di schiena, le gambe
diventano forti e con una
mano mi tengo a me stesso
per non cadere.
Raccolgo il tempo di chi l’ha
buttato e lo nascondo nel
tempo del mio essere stato.
Tutte le volte che sono solo,
quando nessuno mi vede,
unisco quei pezzi di tempo
al mio tempo e sono da te.
Sciara marina
Poco o nulla,
innanzi a te vasto mare,
che sbatti incompreso
e poi ritorni.
Ho visto vuoto il mio
scoglio tra i tuoi versi,
e la tristezza soffocata
dai tuoi flutti.
Voglio tornare anch’io
per sempre, e questo
fiore lo dono a te e al
mio pensiero.
Senza titolo
Odio l’ombra che mi segue muta
senza speranza né nostalgia,
ed io oggi sono nessuno.
Ma chissà se tu ascolti
i suoi passi mentre cammina.
Se tu avessi un cuore ti fermeresti.
Non sei un eroe
Tagliatemi a pezzi,
ché non ne ho più la forza.
Fate, di me, tanti pezzettini
e separate le parti buone
da quelle mie cattive.
Date le prime a chi non è incapace
di custodirle al buio, e assicuratevi
che ne facciano buon uso,
e le seconde illuminatele
tra le braci ardenti, affinché
smettano di esalare il loro
inverecondo fumo.
Se tra le prime ne avanzerà
qualcuna, perché tra le mie
genti infonde l’abnegazione,
fatene siero per chi ne ha miseria
o semi da portare alla fioritura.
Poi, con le seconde fatene
sacchettini, che servano
da monito a chi è innamorato.
“Ché sappiano gli stupidi
che non hanno scampo.”
Fate di me tanti pezzettini,
e non domandatevi cosa
dovete farne, già lo sapete,
scusate l’incombenza.
Ma lasciatemi il mio cuore
nel niente che rimane
di ciò che vi ho donato,
perché qui lei è vissuta.
Tanto domani…
Tanto domani
un altro ti dirà
di amare la tua anima,
e un altro ancora,
e tu la sua;
Ma io non lo vedrò mai arrivare,
mentre discinto sono già lì
e attendo al buio.
Du cori
‘Ncori ranni non ci po’ ‘ntrasiri nà ‘ncori picciriddu,
non servi a nenti ca u gnuttichi o u tagghi pezzi pezzi,
ca fai cartoccia oppuri ca u ‘mpagghiazzi,
aresta fora, vagnatu e ‘nfriddulutu sutta na’ finestra,
ittannu schigghi s’ammuccia arreri a nà vanedda,
si strica ‘nterra comu ‘ncriaturi, s’aratta a facci,
si pinna tuttuparu, arruzzulia ppa’ strata, si minnica li carni,
e chianci rispiratu comu n’anima ca non avi abbentu.
Chistu è lu cori miu malatu, ca voli trasiri nà ‘ncori picciriddu.
‘Ncori ranni non ci po’ ‘ntrasiri nà ‘ncori picciriddu,
non servi a nenti ca u gnuttichi o u tagghi pezzi pezzi,
ca fai cartoccia oppuri ca u ‘mpagghiazzi,
aresta fora, vagnatu e ‘nfriddulutu sutta na’ finestra,
ittannu schigghi s’ammuccia arreri a nà vanedda,
si strica ‘nterra comu ‘ncriaturi, s’aratta a facci,
si pinna tuttuparu, arruzzulia ppa’ strata, si minnica li carni,
e chianci rispiratu comu n’anima ca non avi abbentu.
Chistu è lu cori miu malatu, ca voli trasiri nà ‘ncori picciriddu.
Attimi di morte
Eppure moriamo più volte ogni giorno
Sono attimi di morte che non reggiamo in vita
Quest’adesso è già morto
Mentre sono ciò che sarà già adesso
Nessuna pena
Nessun castigo
Nessuna pietà
Nessun martirio
Quando sarò adesso
Sarete voi memoria
Aquila
Aquila diventai
Signore indiscusso dei cieli
Dall’alto re dominante della terra
Padrone assoluto del mondo
Librando ali al tuo pensiero
Adesso volo nel ricordo
Cado sempre più veloce
Dove il nulla mi aspetta
… 48, FORSE 50
Lame dorate trapassanti che ci illuminano i corpi,
lasciano in te fili sottili da candido quaderno,
ove io possa scrivere in bella calligrafia liriche smaniose,
dove ogni punto sulla tua pelle non è punto,
ma virgola bruna, affinchè io oltre possa continuare. Lame d’argento dal filo sottile impregnato di rosso
vanno a squarciare lo scudo avveduto senza blasone,
lasciano segni invisibili, poco indelebili, sulla mia pelle,
entrano e invadono senza assediarsi, fanno dimora
e accendono fuochi che io non riesco a placare.
Non so chi siete
in una notte come questa,
il mio nome non vale niente
e voi siete nessuno.
Siete le stesse,
ma non comprendo
la vostra essenza.
Stelle eravate.
Ed ero anch’io.