“Quella strana idea d’amore” Luisa Goglio
È nelle sere di cielo limpido e ventoso che si comincia a vedere più chiaro anche in sè stessi, e molto viene a galla, molto di poco pulito.
Si avvertono più crude le assenze – tu, dove sei? Ti avevo creato per restare ad abbracciarmi, come hai potuto disattendermi? – ma al tempo stesso sai che non è importante: quel dolore lì non fa più male, e se lo fa è una finta.
È una fessura sorda, riempita di lucidità e sensazioni nette, di abitudini nuove – sei talmente cambiata che hai deboli ricordi di ciò che eri. Aggrappata, era un buon aggettivo.
L’aggettivo di oggi è “vigile”, oppure “ricettiva”, nel senso di animale all’erta.
Ti scorrono risate nella gola, e subito dopo stringi i denti di paura o di rabbia, poi non puoi fare a meno di accarezzare un gatto.
Te ne fotti del senso, questo è il bello…
L’idea di direzione è sparita per sempre – qui, lì, là in fondo: segnali appaiono solo all’ultimo istante – credevi fosse un danno, sbagliavi, è il caos normale.
Così ti abbracci, nella sera ventosa, e in questo abbraccio molti sono riuniti, in quell’idea strana di amore che t’è venuta ora.
Così dici “ti amo” a tutte le benevole presenze che ti affollano e che ti invitano a vivere ancora, ancora ed ancora.