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L’odore della morte

09/07/2014 da vittorialices
C. Jakab

C. Jakab

Un ticchettio costante, debole ma persistente, la snervava.
Non si chiedeva se fosse nel suo cervello o in quella lurida, umida stanza.
Sola, di un’inutile vecchia bellezza,troppo sfruttata, venduta e svenduta senza ritegno. Adoperata senza soste.
Pagava gli errori commessi. Senza lacrime, come sempre, senza trucco, come mai.
Ancora stranamente bello il suo corpo trascurato, trascinato dai bisogni anatomici.
Accendeva poche luci, con una pila illuminava bene i soldi da lasciare al suo fornitore ogni sera.
Era quel premuroso sconosciuto a decidere i suoi pasti. Gliene aveva dato responsabilità dal primo giorno.
Ogni mattina sentiva il furgoncino, spiava da un apposito buco, e appena egli andava via, con uno scatto ormai felino, tirava dentro quei suoi squallidi bisogni. Sigarette e whisky, innanzitutto.
E fumava, fumava, senza mai cambiare aria. Viveva del suo respiro putrefatto. Ragni e scarafaggi con lei.
Il suo gatto, stecchito da giorni, avvelenato da cibo avariato, si putrefaceva nel camino spento, sua sola pattumiera, unica sporca apertura verso il cielo.
L’odore di morte avrebbe, a breve, sopraffatto l’acre del fumo.
Viveva là da due mesi ma non sembrava così.
Quel giorno c’era il sole fuori, il buco spia lo lasciava entrare, una piccola sfera di luce attraversava mezza stanza andando a morire sotto il tavolo.
Lei decisa, senza alcun preavviso, afferrò un coltellaccio e si accinse a liberarsi definitivamente del cadaverino puzzolente.
Prese a spezzettarlo, era rigido, esangue.
Si fece prendere e, divertita, cominciò ad assumere espressioni assassine, demoniache, malefiche: occhi infuocati, denti e gengive da fuori.
Fece presto, buttò i pezzi nel water e tirò lo scarico.
Ma quello si fece rumoroso
– Otturato, cazzo! –
Il tempo di dirlo e si sentì vomitare addosso tutta la sua perversione.
Rimase immobile, fredda, per tre, quattro secondi…
Poi si voltò e corse fuori.
Rinsavita o impazzita.
Il sole le bruciava gli occhi, le pietre le tagliavano i piedi,
ma lei correva, correva ancora, ad occhi chiusi.
Sicura che stavolta la morte non l’avrebbe ignorata.

Vittoria Alices

Sintohorror, Sintoracconti

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