I tautogrammi di Vittoria Alices

 

 

 

 

ALFIO, ANATROCCOLO ANTIESTETICO

Adele, anatra acquatica, attendendo anatroccoli, appollaiata all’angolo, accanto all’abete, aspettava.
Appartata, ammirava altre anatre affaccendate ad abituare anatroccoli appena avuti, all’acqua: agitandosi allegramente, ambivano ad addestrarli ad affrontare anche acque assai agitate.
Adele, appollaiata addosso agli amati astucci avicoli, ansiosa, aspettava apertura.
Avendo appetito, alzandosi, ambiva ad acciuffare alcune alborelle avvistate antecedentemente. Accorta, allontanandosi, avvertì Alma, anatra anziana: «Alma, ascoltami: adesso andrò ad alimentarmi, accorta agli astucci, accudiscili attentamente! Arriverò appena avrò acchiappato alcune alborelle».
Alma, annuendo, acconsentì. Appena Adele andò all’acqua, avvicinandosi adagio agli astucci, avvertì agitazione: «Adele Adeleee! Arrivano anatroccoli!» affermò allarmata.
Adele accorse accaldata.
Ambedue, ansiose, assistettero all’apertura…
Adele aveva appena appoggiato alborella acciuffata accanto all’albero… apparvero agognati anatroccoli!
Appena arrivati all’aria aperta, accecati, altalenavano. Adele, assieme ad Alma, assistevano allegre.
Alcuni, appena arrivati, andarono ad adagiarsi accanto ad Adele, altri, ancora altalenanti, affannandosi, ambivano ad avvicinarsi. Adele, afferrandoli, andò ad adagiarli accanto all’abete.
Avvicinandosi all’albero, avvistò altro astuccio avicolo; appariva assai allungato, alto. Allegra affermò: «Avrò altro anatroccolo!»
Alcune anatre, ascoltandola accorsero, andando ad ammirare anatroccoli.
Appena arrivate, apertosi anche altro astuccio, apparve anatroccolo anomalo.
Appariva anatomicamente affine all’allocco, assai abbronzato!
Anatrelle antipatiche, appena avvistarono animaletto astruso, andarono ad accerchiarlo: «Aberrante, abietto! Ammazziamolo!».
Adele, avvampata, accucciandolo, affermò: «Allontanatevi! Amerò anche anatroccolo abbronzato! Andatevene all’acqua, antipatiche!».
Andando avanti, anche altri assieme alle anatre, accanendosi, appioppavano aggettivi abietti all’anatroccolo anomalo.
Addirittura, alcuni anatroccoli, avvistatolo avvicinarsi all’acqua, andarono ad apostrofarlo: «Animaletto astruso, accùcciati accanto all’abete! Assomigli all’allocco ahahahah! Appesteresti acque andando ad abbeverarti!».
Alfio, avvilito, arretrò, andandosi ad accucciare accanto all’albero.
Adele, avendo ascoltato, accorse ad aiutarlo.
Anzitutto, accucciò Alfio, abbracciandolo, allorché, avvampandosi, ammonì acidi anatroccoli: «Andate ad annacquarvi alette, asociali! Anzi, approfittatene: annegatevi!».
Alfio, assai amareggiato, all’alba, avvistando Adele ancora addormentata, andò all’avventura, allontanandosi abbondantemente.
Arrivato ad un’area abbastanza ampia, avendo avvistato alcuni aironi accanto all’acqua, avvicinandosi aspirava all’amicizia.
Ahime! Alcuni, appena avvistarono Alfio, agitatissimi, affermarono assieme: «Aiuto! Aiuto! Animaletto africano aspira ad appestarci!».
Ancora appollaiato all’argine, airone anziano, alzandosi, aggredì Alfio affermando: « Alt! Arrestati! Anzi, arretra, accidenti! ».
Anche altri aironi, avvistandolo: «Allontanati animaletto africano!» affermarono agitati.
Assai afflitto, Alfio andò avanti.
Attraversando altre aree, avvistò alcuni animali assomiglianti alle anatre. Avvicinandosi acchiappò ancora angherie.
Andò ancora avanti. Arrivato ad un’area alta, avvistò abitazioni astruse. Alcune amaranto, altre arancioni.
Avendo avuto assai avventure, affaticato, ambiva ad alimentarsi.
Avvicinandosi all’abitazione arancione, all’angolo avvistò alcuni accessi, adatti agli animaletti; addentrandosi adagio, analizzò anfratto.
Avendone appurata adeguatezza, andò ad accucciarsi all’angolo, addormentandosi.
All’alba, ancora assonnato, avvertì agitazione attorno all’area…
Alzandosì andò all’accesso. Accipicchia! Alcune allodole affamate, affannate ad acchiappare animaletti! Avvistandolo, andarono ad aggredirlo; Alfio, atterrito, arrivò appena ad allontanarsi.
Affamato, affranto, avvilito, andò ancora avanti.
Avanzò abbondantemente, arrivando ad ampia area aperta, assai assolata.
Alcuni animali adamantini anseriformi, alti, assai aggraziati, ancheggiavano, apprestandosi ad andare all’acqua.
Avvicinandosi, accorto, (avendo affrontato abbondanti avvenimenti avversi), ambiva almeno ad abbeverarsi.
Avvistandolo, animali affascinanti, anziché aggredirlo, allegri affermarono: «Amico, abbeverati, aggrègati! Andiamo assieme ad acciuffare alborelle!».
Alfio, allibito, avvicinandosi agli affascinanti animali, andava adagio…
Arrivato all’acqua, abbassandosi, aspirava ad abbeverarsi… accipicchia! Ammirandosi, appariva adulto! Aveva acquisito aspetto analogo agli animali anseriformi aggraziati! Ali adamantine, aspetto avvenente, aristocratico… appariva affascinante!
Accolto amorevolmente, Alfio andò avanti allegramente.

 

 

 

 

ALICE ALL’AREA ANIMATA

Alice, adolescente abbastanza affidabile, abitando accanto ad aree amene, abitudinariamente andava ad appartarsi. Appena arrivava agosto, adornandosi adoperando azalee, (adorava agghindarsi), andava ad alleggerirsi: appollaiata accanto ad alti alberi, assimilava aromi, addentava albicocche, ammirava animaletti affamati attenti ad alimentarsi.
Applicandosi ad apprendere, arrivava ad avvicinarsi addirittura alle arnie, arrampicandosi agilmente anche ad altezze allucinanti.
Agosto arrivò anche allora. Alice, ansiosa, apprestandosi, andò ad appollaiarsi accanto all’albero abituale. Ammirò ancora animaletti alimentarsi, ascoltò arie leggere, appisolandosi appena…

«Ahimè, ahimè! Arriverò all’alba!».
Alice attonita: «Allucinazione?» apprestandosi ad ascoltare.
«Accidenti! Aiutami anziché ascoltare apaticamente!».
Avvicinandosi avrebbe ascoltato accuratamente; allora, addrizzandosi avanzava, ambendo ad arrivargli accanto. Arrogante ammasso amorfo, (appariva appena appena affine ad animale, avendo addosso abiti), avvertendola avvicinarsi, accelerava.
Anziché andarsene, Alice, affannandosi andava appresso, attenta ad ascoltarlo. Ansimanti arrivarono avanti ad ampia apertura, appariva affine ad avvallamento abissale… Animaletto asociale, affrettandosi, accelerò ancora, atterrandoci appositamente.
Adolescente avventata, Alice, andandogli appresso, assisté ad avvenimenti assolutamente anormali: attorno all’antro avvistò abbecedari aprirsi arbitrariamente, antilopi altezzose, animali acquatici agitarsi allegramente all’aria… addirittura armoniche, archi, arpe, alternarsi, accennando arie abbastanza apprezzabili. Alice, adeguandosi, ascoltava.
Atterrò adagio, avanti ad ampi accessi asserragliati. Analizzandoli appieno, arrivò accanto all’accesso aperto, angusto anzichenò, (adatto appena all’animaletto argenteo apparso antecedentemente).
Accasciandosi, avvilita, aspettò, alternando attimi assopiti ad altri ansiosi… Agitandosi, all’angolo adocchiò alcuni astucci, apportanti annotazioni abbastanza altisonanti: “ASSAGGIAMI”, “ASSAPORAMI”.
Afferrò “ASSAGGIAMI”, appariva acquoso; attenendosi alla annotazione, assaporò. Assurdo! Appena assaggiato, Alice avvertì accorciamento apprezzabile.
«Aiuto azzeccato!» asserì attraversando accesso angusto.
Addentrandosi, attraversò ampie aree apparentemente abbandonate; alfine, arrivò ancora all’aperto. Accipicchia! Assisté ad anomalie assurde! Azalee argomentavano altalenando, animali abbigliati accuratamente assicuravano armonia arrestando attentatori, anfibi adiposi, adeguatamente acconciati, affollavano anfratti…
Accomodato addosso ad un arbusto, animaletto atipico, aspirava attraverso arghilee, affumicandola. Appariva autorevole, allora Alice, ascoltandolo, accettò avvertimenti abbastanza assennati. Alfine, animaletto asfissiante asserì: «Attenta Alice! Affrettati ad andartene!» affibbiandole anche astruso alimento anonimo, (annotazioni assenti).
All’apice, altera asservente amministrava, adoperando assi animati assieme ad altri affini, assoggettati attraverso angherie.
Arrivatale avanti, Alice assisté, allibita, ad avvenimenti agghiaccianti: arrogante amministratrice, arrabbiatissima, aizzava assi animati ad ammazzare animali abbigliati.
Allarmata annunciava: «ATTENZIONE, ATTENZIONE! Abbiamo avvistato assassini ambientali! Accorciano attimi, apportando alterazioni antiorarie apocalittiche! Assi, assassinateli!».
Alice, angosciata, assaggiò ansiosamente alimento affibbiatole all’arrivo, (almeno avrebbe avuto alternative). «Appetitoso!» asserì, allungandosi abbondantemente.
Assai accresciuta, approfittandone, adoperò autorità, affrontando apertamente amministratrice assieme agli assistenti; alfine, accontentandosi, (avendo allontanato abbastanza avversità), ansiosa, ambiva ad andarsene. Aveva appena adocchiato accesso aperto, avviandosi ad attraversarlo… Ahimè! Avvenne ancora accorciamento!
Assi animati, allora, arrabbiati, avendo assistito all’abbassamento, acciuffandola, annunciarono all’amministratrice: «Abbiamo acchiappato Alice! Adesso arrestiamola!»…

Alice, ancora assopita accanto all’albero abituale, aveva avuto allucinazioni. Accorgendosene, aspirando allegramente aria amena, andò ad ammirare ancora animaletti, adesso autentici, attenti ad assicurarsi alimenti.

 

 

 

 

ANSEL AND ARETEL

Assai anni addietro, Adolfo, agricoltore abbastanza assennato ammogliato ad Angelina, acida arruffona, abitava accanto ad aree assai alberate. Arduo addentrarsi! Analizzandole, apparivano anguste, angoscianti.
Angelina, assai amata, aveva avuto Ansel assieme ad Aretel.
Allattò ambedue.
Abitando, appunto, accanto ad aree alberate, Ansel, assieme ad Aretel, ambendo ad assomigliare agli adulti, avevano azzardato ad andarci, aspirando ad acciuffare animaletti. Appena addentratisi, avvertendo animali abietti avvicinarsi, atterriti, avevano arretrato.
Addirittura Adolfo, ampiamente abituato ad affrontare animali aggressivi, addentrandovisi, accusava aritmie anomale.
Ahimè, anche ammazzandosi ad arare, ad acchiappare animali adatti all’arrosto, Adolfo arrivava all’abituro alquanto avvilito: «Abbiamo ancora alimenti, Angelina? Avevo avvistato alcune antilopi, accidenti! Almeno abbiamo altri asparagi… apprestati ad arrostirli!».
Angelina, assai affamata, appariva arrabbiata: «Abbiamo aria, Adolfo, aria aria aria!».
Ansel, assieme ad Aretel, affamatissimi, avevano aspettato, attendendo alimenti…
«Addormentatevi!» affermò Angelina alquanto alterata.
Appena apparvero addormentati, agitandosi, affermò: «Adolfo ascoltami, abbiamo abbastanza alimenti adatti ad appagare anoressici… ammettiamolo!».
Adolfo, assai abbattuto, ascoltava.
Anche Ansel, anziché addormentarsi, ascoltava attentamente.
«Attrèzzati! All’alba accompagnerai Ansel, assieme ad Aretel, all’area alberata! Abbandonerai ambedue!».
Adolfo, atterrito: «Abbandonare Ansel assieme ad Aretel? Azione abominevole! Assurda! Amo ambedue assai!»
«Appunto Adolfo» affermò Angelina assai accaldata: «ami Ansel ? Ami Aretel? Allora accompagnali! Abbandonali! Almeno avranno alternative!».
Adolfo, assillato, acconsentì.
All’alba accompagnò Ansel, assieme ad Aretel, all’area alberata.
Avendo ascoltato accuratamente Angelina, Ansel aveva accumulato abbastanza aghi, asportandoli agli abeti.
Adolfo abbracciò ambedue, abbandonandoli all’aria aperta, accanto ad alti alberi.
Andò all’abitazione ad avvertire Angelina.
Appena andò, Ansel, avendo abbandonato alcuni aghi attraversando aree alberate assieme ad Adolfo, arrivò ancora all’abitazione.
Adolfo accolse ambedue allegramente. Anche Angelina appariva abbastanza allegra… appariva.
Appena Ansel assieme ad Aretel andarono ad addormentarsi, avvampandosi, ammonì Adolfo: «Allocco! All’alba andrai ancora ad abbandonarli! Adesso attento! Allontanali adeguatamente!».
Adolfo, affranto, acconsentì ancora.
Avventurandosi assai, abbandonò Ansel, assieme ad Aretel accanto ad un albero.
Aretel, accucciata, appariva atterrita.
«Aretel, andiamo!» affermò Ansel. Avendo accumulato ancora aghi.
Accidenti! Alti abeti, agitandosi, avevano abbandonato altri aghi! Adagiati attorno all’area abbondavano.
Afflitti, abbracciandosi, andarono avanti.
Attraversando anfratti assurdi, arrivarono ad ampia area aperta.
Accasciandosi, affaticati, affamati, anche assetati, avvistarono abitazione astrusa: abbastanza altina, aveva, appiccicati addosso, abbondanti alimenti assai accattivanti. Ambedue, alzandosi, affermarono allibiti: «Allucinazione?» avvicinandosi.
Appuratane autenticità: Aum! Aum! Azzannarono avidamente alcuni alimenti appartenenti all’astrusa abitazione.
«Ah accattoni abietti! Arraffoni! Ardite azzannarmi abusivamente abitazione?» anziana altera, arrabbiatissima, aveva avvertito Ansel assieme ad Aretel agitarsi attorno all’area. Ambedue avevano ancora alimenti appartenenti all’abitazione appiccicati addosso.
Angosciante! Acciuffandoli, aspirava ad alimentarsene.
Accantonati all’angolo, accanto all’armadio, aveva accatastato arti, anche… appartenenti ad altri! Aberrante! Aveva ammazzato altri avventori, alimentandosene!
Anziana antropofaga asseragliò ambedue.
Analizzandoli attentamente: «Appaiono allampanati, assai asciutti. Adipe assente! Accidenti!» appurò avvampandosi «Aspetterò! Alimentandoli abbondantemente, accumuleranno adipe!».
Annullandole arresti, asservì Aretel, affidandole attività adatte agli adulti.
Anziana assassina, abbuffava abbondantemente Ansel, ancora asserragliato, aspirando all’accrescimento adiposo.
Avveduto, Ansel, accumulava ali asportate alle anatre assaporate.
Allorquando anziana antropofaga, avvicinandosi attendeva arti, Ansel, abbindolandola, agitava ali… apparendo ancora asciutto.
Andando avanti, anziana ammazzabambini, annoiata, asserì:: «Aretel, adesso aiutami ad arrostirlo!» aprendo ampio armamentario adatto agli arrosti.
Aretel, avvistandola accanto ad armamentario acceso, avventandosi addosso, arrivò ad abbrustolirla.
Avendola ammazzata, afferrarono abbastanza averi appartenenti all’agiata assassina, avviandosi ad andarsene.
Adolfo, affranto, aveva appena atterrato Angelina; avvistando Ansel assieme ad Aretel arrivare, andò ad abbracciarli.
Arricchitosi, andarono avanti agiatamente.

 

 

 

 

BIANCANEVE

Belinda, bellissima baronessa benestante, buscatasi brutta broncopolmonite, boccheggiante baciò Biancaneve, bimba bramata, benedicendola.
Bisognando bambinaia, Babbo Baldo, baccalà, buscò Bifida, balorda badante bieca, bisbetica, bugiarda.
Brutta briccona, bistrattava Biancaneve, biasimandola brutalmente.
Brava bambina, bianca bianca, benché bacchettata barbaramente, bellissima, brillava.
Brutta biliosa, Bifida, bruciandole, borbottava: «Biancaneve bellissima? Brutti bifolchi! Blaterate baggianate! Badate bene: batterò Biancaneve! Bracconiere bracconiereeee! Bisogna braccarla! Brandisci balestra, beccala!».
Bruno, bracconiere bonaccione, braccata Biancaneve, barò, beffando Bifida: «Biancaneve, batti boschi, barricati! Bifida, bastarda, brama barbarie bestiali! Brutta bega!». Biancaneve, benedicendolo, batté boschi brumosi.
Brancolando barcollava, bisognava bevesse!
Battendo biforcazioni buie, beccò bellissima baita, bassa bassa, biancorossa.
«Bella baita! » bisbigliò bussando.
«Bambini, bambini?».
Benedicendoli, banchettò beatamente: brasato, bacon, broccoli bolliti, banane, biscotti; bevendo buona birra bionda.
Bum bum bum! Buffi boscaioli barbuti, bassissimi, battendo badili ballavano baldanzosi. Beccando Biancaneve, bastantemente brilla, bivaccare beatamente, basiti bisbigliarono: «Bizzarro! Bellissima barbona bivacca beata!».
Brontolo, boscaiolo brontolone borbottava: «Brutta bega, brutta bega!».
Biancaneve, balzando, balbettò: «Bravi boscaioli, battei boschi bui, braccata. Bifida, badante bisbetica, battagliera, bersagliandomi bramava battermi; Bruno bracconiere buono…».
«Basta!» borbottò Brontolo «Biancaneve bloccati! Benvenuta!».
Biancaneve, buona badante, benvoluta, ballando brillantava baita.
Bifida brindava. Buffoneggiando baldanzosa, blaterava: «Bandita Biancaneve brillerò beatamente!».
«Bu bu gia!» balbettò Benito, badilante balbuziente beninformato, «Bru Bru no bra bracconiere blatera bugie, beffandoti! Biancaneve, benvoluta, bam bam boleggia beatamente, baciando bassi bo bo scaioli barbuti!»
Bifida, bellicosa: «Bracconiere, bracconiereeee!».
Bruno bracconiere, beccato, balbettò: «Bellissima Bifida, bastava bandirla Biancaneve…».
Bifida balzò: «Brutto bugiardo! Becero bitorzoluto! Barasti!?» bastonandolo barbaramente.
Blaterando bestemmie, bevve brodaglia bluastra, bollita ben bene.
Bruttissima befana, butterata, battendo boschi beccò Biancaneve. Bolliva broccoli.
Bifida bussò: «Buongiorno bella bambolina! Bramando bere, baratto bacche balsamiche. Bagnandoti boccuccia bella, buscherai beatitudine! Basterà beccarle!». Biancaneve, bendisposta: «Benvenuta! Bevete, bevete bevanda! Buscherete benefici».
Bevuta bevanda, Bifida bisbigliò: «Biancaneve, becca bacche balsamiche!».
Biancaneve, beneducata, beccò bacche blu barbituriche. Babbea! Barcollando, buscò brutta botta, beccando bordo balconata.
Bum bum bum! Boscaioli barbuti, ballando battevano badili.
Balenando, beccarono brutta befana ballare baldanzosa.
Buuum buuum! Bastonandola brutalmente, batterono Bifida.
Bardarono bellissima bara brillantinata, blindandoci Biancaneve bloccata biologicamente.
Bernardo, baldo blasonato benestante, bruno, bastantemente bello, bighellonava. Battendo boschi beccò Biancaneve bloccata biologicamente.
«Bellissima!» bisbigliò basito.
Batticuore! Bum bum bum!
Bramando blandirla, bucò bara blindata.
Bastò bagnarle bocca, baciandola. Bacio benefico! Biancaneve, biascicando, bisbigliò: «Baci bene…».
Bellissimo! Biancaneve, Bernardo, boscaioli, brindarono beatamente, bevendo birra. Bevendone bidoni, brilli, ballarono baldanzosamente.

 

 

 

 

CAGNONE CARNIVORO CONTRO CAPRETTI

Clorinda, capra campestre, concepì cinque capretti che cresceva con cura; condividevano casa contenti.
Considerato che Ciccio, cagnone cattivo, consumava capretti come cibo, Clorinda, costretta comprare cibarie, consigliò: «Caprettini cari, considerate che Ciccio, cagnone carnivoro, camuffandosi, cattura capretti. Chiudetevi con chiave! Costui, col corpo color catrame, comunica con cadenza cagnesca! Comportatevi come conviene: cacciatelo!» concluse così.
Concedatasi Clorinda, Ciccio comparve, chiamandoli: «Caprettini, completai commissione, comprai caramelline colorate, come consegnarvele con codesta casa chiusa? »
Costoro capirono che copiava Clorinda, così contestarono: «Cagnone ciarlatano! Circola! Clorinda colloquia con cadenza caprina!».
Così, costui comprò certa creta, cibandosene, conquistò cadenza caprina: «Caprettini cari, completai commissione, comprai caramelline colorate, come consegnarvele con codesta casa chiusa?»
Costoro, controllando, constatarono: «Col corpo color catrame? Circola cagnaccio, circola!».
Corrucciato, corse come corridore, comprò certo calcestruzzo, con cui coprirsi, cosicché, col corpo colorato, colloquiò coi capretti: «Caprettini cari, completai commissione, comprai caramelline colorate, come consegnarvele con codesta casa chiusa?».
Costoro, considerando che cadenza caprina col corpo chiaro corrispondevano, convinti, cedettero.
Come comparve, costui consumò caprettini come capsule; capretto Carletto, celatosi con cura, campò.
Clorinda, completate commissioni, constatò caos… contrita chiamava caprettini. Come chiamò Carletto, costui comparve, comunicandole ciò che capitava.
Contrita, compiangeva cuccioli…
Controllando, constatò che cannibale criminale, col corpo colmo, caracollando cadeva coricato. Contemporaneamente, Capretto Carlo captò colpi curiosi, come calci: «Chi causa codesti colpi?» commentò.
Come concluse, Clorinda capì cosa capitasse, così, come chirurgo, col coltello, cavò corpo cagnesco, cacciando caprettini. Concluse colmandolo con copiosi ciottoli.
Come cagnone camminò, cadde, centrando cavità colossale.
Che contentezza!
Concludendo: Crepato Cagnone, Clorinda con caprettini camparono contenti.

 

 

 

 

CAPPUCCETTO CARMINIO

Cappuccetto, creatura carina così chiamata considerando che circolava col capo completamente coperto con cappuccio color carminio, camminando contenta, canticchiava.
Colei che comandava, come capofamiglia, consegnandole cacio, cereali, carne, con caffè chiusi con cura, commissionò che, col canestrello così colmo, corresse celermente, ché congiunta centenaria, coricata con catarro, completamente costipata, chiedeva cibo.
Che capatosta costei! Continuava col campare così collocata, con centomila conigli, canarini, capre cornute.
«Cucciola, corri!» comandò capofamiglia «Completa con celerità codesta commissione!» consigliandole che camminasse circospetta.
«Che chioccia!» commentò Cappuccetto «Camminerò con circospezione!». Così, creaturina coraggiosa, camminò cheta cheta. Cogliendo ciclamini canticchiava.
«Cosa cerchi, cara creatura? Cosa contiene codesto canestrello che conduci con cotanta cura?» cominciò colloquiando così, con carisma, cagnone curioso che, come clandestino, comparve con circospezione. Cappuccetto, considerandolo cordiale, conversò con codesto ceffo: «Ciao cagnone! Contiene cacio, cereali, caffè, che ciberanno cara congiunta completamente costipata».
«Cagnone? Capobranco casomai!» contestò codesto criminale.
Cappuccetto, come consueto, continuò con cortesia, chiamandolo così come chiedeva: «Capobranco, considerato che conosce codesto cerreto, campandoci, che cammino consiglia, così che concluda celermente codesta commissione?». Compiaciuto, costui consigliò: «Cammina centralmente, costeggiando campi con castagni, corri! Così, celermente, concluderai codesta complicata commissione!».
Cappuccetto, convinta, camminò centralmente, costeggiando certi campi coi castagni, così come consigliatole.
Che cretina! Comportandosi così cordialmente col cialtrone calcolatore, causò conseguenze catastrofiche!
Costui, conoscendo cammino corretto, corse come corridore, coprendo chilometri celermente… Cappuccetto continuava col cammino che costui, cattivo consulente, consigliava.
Carnivoro crudele, come comparve, così consumò congiunta cara, come capsula, (così celermente che costei conservò comunque corpo, cosce, capo, cuore… cervello). Conseguentemente, coricatosi, canticchiava contento…
Cappuccetto, comparendo, confusa, colloquiò con costui, camuffato coi capi che coprivano cara consanguinea, cuffietta compresa.
«Che capoccione!» constatò.
Contraffacendo cadenza, codesto ceffo contestò: «Cara, col catarro capita che capo cresca!».
Cappuccetto continuò:
«Che capelli!»
«Cappuccetto! Come cavolo cotonavo capelli? Così costipata… consegnami cibarie, carina!».
Contrariamente, Cappuccetto, continuò: «Che canini!».
Conclusa codesta constatazione, costui, catapultandosi, come cataclisma cinse Cappuccetto, che comprendendo cosa capitasse, contorcendosi, combatteva. Che caos!
Casualmente Catello, cacciatore che circolava con carabina carica, cercando chi, comportandosi crudelmente, causava contrasti, captò colluttazione, cosicché, concitato, corse. Come comparve, capendo cosa capitasse, caricando carabina, colpì, centrando cagnone carnivoro.
Cappuccetto, contrita, considerandosi colpevole, compiangeva congiunta. Che costernazione! Catello, commosso, consolandola, captò colpi curiosi, come calci…
«Che capita?» commentò. Capito che congiunta centenaria causava codesti colpi, col coltello, calmo come chirurgo, cavò cadavere, cacciandola.
Che contentezza! Costei coprì Catello con complimenti calorosi, concedendogli, come compenso, caramelle con caffè.
Contentissima, consumò cibarie con Cappuccetto, carezzandole capelli.
Conclusero col cin cin, congedandosi.

 

 

 

 

CINGHIALE CAVALLO CACCIATORE
(Tautogramma della favola di Esopo)

Carlo, cavallo capriccioso, camminando consumava certa cedronella che cresceva copiosamente cingendo campi coltivati.
Catello, contadino caritatevole, convivendo con conigli, capre, cani cercava compagnia, così consentiva che Cavallo Carlo consumasse codesta cedronella, considerandolo come compagno.
Casualmente capitò che Ciro, cinghiale corpulento, cercando cibo, costeggiava codesti campi consumando cedronella con cupidigia. Contemporaneamente, costui, cafone, calpestava completamente campo, contaminando cedronella con cacca.
Cavallo Carlo, contrariato, corse crepitante cercando Catello, compagno contadino. Come comparve, costui capì cosa chiedeva: che cinghiale clandestino crepasse. Così, caricò con cinque colpi certa carabina che conservava coperta col cellophane, collegò con cura cinghie, cingendo Cavallo Carlo, certo che convenisse cavalcarlo, considerando che Cinghiale Ciro correva celermente. Cavallo Carlo consentì contento: «Cavalcami compagno! Colpiscilo! Ché cinghiale cafone crepi!» commentava cattivo con cadenza cavallina.
Catello, carico, convinto, correva contro Cinghiale Ciro che, completamente confuso, coprendosi cogli alberi, chiedeva: «Calibrate codesti colpi contro me? Che cosa combinai?». Crepò così, chiedendosi cosa capitasse.
Cavallo Carlo, contento, canticchiava…
Contrariamente Catello, constatato che cavalcandolo correva celere, capì che conveniva custodirlo, considerandolo come comodità consistente.
Così carcerò Cavallo Carlo, cingendolo con corde.

Commento con consiglio:
Citrullo chi consente che collera comandi! Chi combatte contro coloro che considera contrari, collaborando con colui che, captando convenienza, concluderà collaborazione costringendolo con catene.

 

 

 

 

CENERENTOLA

Colei che concepì Cenerentola, creatura carina così chiamata con cinismo, campò corto, così costei, cucciola confusa, capitò con cattive conviventi.
Capricciose, con comportamenti crudeli, calpestavano Cenerentola che, cheta, condiscendeva.
«Che cretina!» commentavano continuamente costoro «crede che cantando canzoncine carine, conquisterà chissà chi! Campa cavallo che canapa cresce!».
«Cenerentolaaaaa!» chiamavano continuamente.
Chiaramente competevano, considerando che costei cresceva carina, carnagione chiara, capelli corvini, camminatura chic…
Contemporaneamente, colui che comandava codesta cittadina, confabulava con certi consiglieri: «Cari cortigiani, comprovatamente competenti, consigliatemi! Chi comanderà con codesta corona, considerando che colui cui competerebbe, conserva celibato?».
Consultandosi, capirono che conveniva cercare celermente congrua consorte, così commissionarono comunicazione cittadina:
«Cittadine! Colui che cingerà il capo con codesta corona cerca coniuge! Consentiremo che chiunque, credendosi confacente, cioè carina, capace, coscienziosa, concorra!».
Crudeli canaglie, coloro che Cenerentola considerava consanguinee, credendola competitiva, complottavano: «Chiudiamola con chiave! Ché costei capisca chi comanda!».
Chiusa con chiave, Cenerentola chiacchierava con canarini cinguettanti, che considerava compagni, componendo canzoncine che, consuetudinariamente, canticchiava curando casa.
Cucendo calze, crucciata, commentava: «Che capra! Credere che colui che comanderà codesta comunità, carino, coraggioso, considererebbe Cenerentola… così conciata, cosparsa con cenere… continuerò col canto, cesserò con codeste chimere!».
Così considerando crollò, collassando.
Clamoroso! Come cataclisma, comparve creatura curiosa: corpulenta, con capelli candidi, cappa color cielo, cappellino celeste! Costei, come comparve, così colloquiò con Cenerentola: «Cucciolotta cara, cessiamola coi crucci! Cambiati, che chiunque, conoscendoti così combinata, cambierebbe città!».
Concluse consegnandole capi chic con cui coprirsi, corredati con calzature cristalline, creati chissà come, (con curiosa cannetta che cambiava continuamente colore, costei creava cerchi colorati…).
Che commozione! Cenerentola, come camaleonte, cambiò completamente! Contemplandosi, commentava: «Che contentezza! Così competerò certamente con cittadine carine! Conquisterò cavaliere coraggioso? Chissà!».
Colei che, con cannuccia cangiante, causò codesto cambiamento, canticchiava curiosamente: «Camalabula camalabula, camala camalabù…».
Cosa celestiale! Con codesta canzoncina commutò camera chiusa, con campagna, cielo, cicale che cantavano cri, cri… Continuando col canto, creava cerchi colorati, con cui contornò cricetini, che, cari compagni, condividevano camera con Cenerentola; cambiò codeste cavie, con cinque candidi cavalli. «Camalabula camalabula, camala camalabù…» continuava convinta, contornando coi cerchi, certe cocuzze che costeggiavano campi coltivati… cambiando celermente cocuzza con carrozza.
«Cenerentola» continuò costei cessando coi canti «codeste cose contraffatte, crolleranno. Conquista celermente colui che cerchi come compagno!
Correte cavalli! Correte!» così concluse.
Colui che cercava consorte, corteggiatissimo, colloquiava con cittadine che, circondandolo, cercavano considerazione.
Come comparve Cenerentola, costui, completamente cotto, cessò coi convenevoli, congedò con cordialità coloro che competevano, coccolando con carezze colei che, candida creatura, considerava consona come consorte.
Concorrenti cattive, contorcendosi, crepavano ché costei, chiamata chissà come, cheta cheta, conquistasse cavaliere con corona.
Cenerentola, crepitante, controllava continuamente cronometro.
«Cavolo! Conviene correre, ché carrozza, cavalli, capi chic con calzature, cambieranno!». Così, congedandosi con celerità, corse come corridore centometrista. Correndo calpestava ciottoli, cosicché, capitò che calzatura cristallina cedesse, cadendole. Concitata continuò claudicante.
Cercando carrozza con cavalli constatò cambiamenti: carrozza commutata con cocuzza, cavalli con criceti, come convenuto con colei che, compassionevole, concesse codeste contraffazioni.
Cenerentola, coperta coi consueti cenci consunti, collaborando coi compagni canarini, chiuse camera con chiave, come coabitanti cattive chiedevano, coricandosi con celerità.
Comprensibile conseguenza, colui che colpito, cercava Cenerentola, commissionò comunicazione cittadina: «Cittadine! Cerchiamo colei che calzi comodamente codesta calzatura! Controlleremo chiunque, comprese casalinghe, cameriere, colf…».
Conviventi cattive, continuando con competizione, celarono Cenerentola, chiudendola con chiave.
Costei, chiusa, continuava coi canti, completando commissioni casalinghe. Contrariamente, coloro che, commissionati, cercavano chi calzasse calzatura cristallina, controllando codesta casa, captarono canti che, Cenerentola componeva coi canarini cinguettanti.
«Chi canta?» chiesero.
Ciarlatane civette, cambiarono colore, cosicché, costrette, confermarono che coabitavano con Cenerentola, catalogandola come cameriera completamente cretina.
«Chiamatela!» comandarono categoricamente controllori.
Codeste cialtrone, corrucciate, condussero Cenerentola, come comandato.
Che capitò! Cenerentola calzò comodamente, con celerità, calzatura cristallina. Collimava completamente!
Cafone cocciute, coloro che, chiudendola con chiave, causarono contrattempi, continuavano coi commenti: «Che cantonata! Costituisce coincidenza che Cenerentola calzi comodamente codesta calzatura! Conoscerete costei, che casini combina! Credeteci!».
Che caos!
Coloro che controllavano, considerandole criminali, cinsero codeste cornacchie con catene, convinti che convenisse carcerarle.
Cenerentola, comportandosi con cuore, come consueto, contrastando carcerazione, chiese compassione, considerandole comunque consanguinee…
Che celebrazione! Che cerimonia! Cenerentola con cavaliere, camparono contenti, concependo cinque creature, che chiamarono: Carlo, Candida, Camilla, Ciruzzo, Carmelo. Così corona continuò, cattiveria crepò.

 

 

 

 

PINOCCHIO

Peppe, piallatore poverissimo, poteva permettersi pochi pasti piuttosto penosi: puree putride, patate per porci, pere poco polpose, presi presso puzzolenti pattumiere pubbliche.
Poveretto! Più penava, più pregava: «Padre, padre potente! Pur patendo per penuria, potrei prodigarmi per piccoli pargoli, porgendogli premure paterne, per pietà, permettimelo!».
Pregando piangeva; probabilmente proprio perciò, percepì presente piccolo, però prezioso, perché pezzo plasmabile. Presto, progettò piccolo pupazzo, poi, piallando piallando, produsse Pinocchio.
«Proprio preciso» pensava «piccolo, però perfettamente proporzionato. Pur parendo proboscidato per protuberanza proverbiale, pare poter parlare!».
Posizionandolo, procedette per prove, prima ponendolo perpendicolare, poi prono, poi poggiato presso pareti. Poggiandolo parlottava: «Pinocchio Pinocchio! Potresti parlarmi?» pareva pazzo.
Passò poco, poi Pinocchio parve proprio parlare…
Peppe, perplesso, pensò: «Pinocchio parla? Possibile? Paranoico psicopatico! Pelerò patate, per pensarci poco».
Preparandosi per pranzo, prima preferì posizionarlo perfettamente, per preservarlo; però Pinocchio, prontamente, pronunciò parole precise: «Pa-pino, papino Peppino!». Peppe, prima paralizzato, poi partorì parola: «Prodigio! Padre, Padre possente! Pinocchio parla!».
Passarono parecchi periodi piacevoli parlando, passeggiando, pescando… Parlando, però, Pinocchio proferiva parecchie panzane, potenziando pertanto, proverbiale protuberanza per percepire puzze.
«Perbacco! Perdinci! Perdindirindina!» pronunciò, palesandosi, personcina proprio piccolissima, (però professionalmente portentosa); prevedeva pasticci perciò, preoccupandosene, pedinava Pinocchio, per poterlo proteggere.
Peppino, per pagare professori preparati, permutò pastrano più paraspalle; Pinocchio pareva propenso, però purtroppo, partecipò per poco, poiché, piccolo pestifero, presto provocò pesanti pasticci.
Praticando persone pessime, prese percorsi poco puliti.
Piccolo protettore pulsante, pur pregandolo, poté poco, procurandosi parolacce più pantofolata pesante.
Pappafuoco, persona potente, pomposa, prendendolo per pupazzetto prodigioso, (perché parlava, pensava, piangeva persino!), preparò parate pubbliche per presentarlo presso popolani paganti.
Per presentarlo pubblicamente, partirono per posti più popolati, procurandosi plausi pazzeschi.
Però Pinocchio, proseguendo, piagnucolava, pronunciando poche parole: «Papino, papino Peppino! Perdesti pastrano più paraspalle per prepararmi, per pagare professori…».
Provandone pena, Pappafuoco prese poca pecunia, però preziosa, per porgergliela, però prima parlò: «Piccola pulce, potrei procurarmi pozzi pieni portandoti per paesi, però provo pena, perciò prendi, portateli, potrai procurarti pastrani prestigiosi per Papino Peppino».
Pinocchio prendendoli prontamente: «Prenderò pastrani pregiati per Papino, prometto!
Partì; però, purtroppo, passò per posti piuttosto pericolosi, pertanto, pelosi profittatori perfidi, promettendogli più pecunia, persuasero Pinocchio, pivellino, (pure poco perspicace), proponendogli piantagioni pecuniarie promettenti.
Poco previdente, Pinocchio piantò pecunia preziosa presso pungenti pini, prevedendo, perché plagiato, parecchie piantine pecuniarie. Pazzo! Perse pecunia, patendo pure percosse.
Persona prodigiosa, presenza portentosa, particolare, poiché portava pettinature paillettate, (pressappoco pervinca), preoccupata, prelevò Pinocchio, per portarlo presso piccola postazione portuale.
Professori pomposi, palesando più patologie preoccupanti, prescrissero putrido preparato puzzolente. Poveretto! Pressato, prese preparato puzzone, poi promise: «Partirò per piantarmi presso papino, portandogli premure. Prometto! Prometto!». Promettendo, pareva puro, probo.
Però, povero pivello, percependo pressioni perverse, partì, portandosi presso posti più piacevoli, per procurarsi passatempi pazzeschi.
Passò periodi pessimi, poverino, procurandosi percosse, perdendo persino personalità. Pareva posseduto!
Preso per pony, perché peloso, prese posizioni pecorine, procurandosi pedate possenti! Patì poco però, perché poi, pienamente pentito, pronunciò preghiere. Piangendo parlottava: «Papino, papino Peppino! Perdonami!»; Peppe pure piangeva. Piallando piccoli pezzi, per pensarci poco, pronunciava parole pietose. Persino Plinio, pastore pidocchioso, prendendosi pena, prese parecchio pane per portarglielo .
Pinocchio, prigioniero presso putride prigioni poco panoramiche, pentendosi, pian piano perse pelo, poi pure pellaccia puzzona. Potendo proseguire, perché presentabile, procedé per porticcioli, però, (perlamiseria!), persone prezzolate, pedinandolo, parevano piedipiatti.
Povero piccolo, poteva procurarsi proprio poca protezione, pertanto, pensandoci poco, per pararsi, puntò Pescecane, poderoso pesce poco pacifico.
Penetrandoci procedeva piano, paventando percussioni, poiché Pescecane, per procurarsi pasti, piroettava.
Pauroso parlava: «Perirò patendo! Povero papino, perderà Pinocchio!».
Peppino, pure presente, palesandosi parlò: «Pinocchio? Possibile?».
«Padre, papino! Partiremo! Prometto, partiremo!».
Piroettando per pranzare, Pescecane prese Pescetonno, pesce prepotente, però pacifico. Provvidenziale! Perché poterono partire, pur pericolosamente.
Poi, Pescetonno proseguì per profondità, Pinocchio portò papà Peppino presso posti più piacevoli; poi, prestando piccoli piaceri, percepì parecchia pecunia. Poté provvedere per pranzi, per pastrano, più pure per paraspalle!
Portando premure particolari per papà Peppino, percepì per premio personalità propria: pelle, polpastrelli, peluria…
Perlustrandosi, Pinocchio parlottava: «Pupazzo, puah! Persona, piuttosto!».
Peppe, pago, passò parecchi periodi piacevoli.

 

 

 

 

POLLICINA

Pina, proprietaria parecchio possidente, passeggiando pregava: «Padre, Padrenostro! Potrei pagare per percepire pargoletta, però preferisco pregarti.
Prometto prodigalità, pazienza, prendendomene premura. Permettimelo, per pietà!».
Passando per caso, personcina particolare, piccina però prodigiosa, percepì preghiere, perciò prendendosi pena, pronunciò privatamente parole precise: «Piccola petunia presto partorirà» poi proseguì per prati.
Passarono periodi poco piacevoli per Pina; purtroppo piangeva parecchio. Poi, però, passeggiando, percepì piccolo parlottio, presso piazzola preservata per petunie…
Prima, per paura, proseguì, poi pensandoci, palpò petali, per perlustare petunia parlante: portentoso! Piccola pargoletta piagnucolava, poggiata proprio presso petali profumati!
Pina, prima paralizzata, perché perplessa, poi prese piccoletta per portarle premure.
Proprio piacevole prodigarsi per Pollicina, preoccuparsene, procurarle passatempi!
Passeggiavano parlandosi pacatamente, potavano piante, preparavano pietanze particolari, provando piacere per piccolezze.
Però, purtroppo, piano piano, paragonandosi, Pollicina percepì propria piccolezza. Poverina, pativa principalmente perché, pescare persone pari, pareva paradossale, pretenzioso…
Però passò poco, perché presto, principino piccolo piccolo, però prestante, (pareva palestrato), perfettamente pari per piccolezza, (proprio pari! Pazzesco!), prima parlò, presentandosi, poi, porgendole peonie pervinca (parevano pitturate), propose partenza, promettendole premure principesche presso propri poderi.
Pollicina, perdutamente presa, palpitante, prese pochi panni per portarseli… poi, però, pensandoci, parlò: «Partiremo, prometto; però prima preferisco preparare Pina. Poverina, piangerà, perdendomi. Passerà poco, poi potremo partire!».
Povero principino! Persuaso, permise posticipazione, patendo poi, pesanti pene, perché Pollicina, poco previdente, pensando parole per persuadere Pina, passeggiava, passando per posti paludosi…
Proprio presso putrido pantano, piroettava, ponendosi prepotentemente, pesce piedato poco perbene, pelato, panciuto, pelle penzolante, puzzava persino. Presuntuoso prevaricatore, puntò Pollicina, pretendendo passione.
Purtroppo, pur parendo poco potente, perché piccolo, prevaleva, possedendo poteri particolari…
Prima provò parlandole: «Piccola perla, posso portarti presso pantano? Potrei presentarti parenti, portarti premure, posseggo patrimonio prestigioso, permettimelo!».
Povera piccola, pur provando paura, paventando problemi parlò, proferendo però panzane, (pareva Pinocchio): «Potessi! Purtroppo Pina pretende presenza perenne! Peccato!».
Parlando parlando, proseguì, portandosi presso posti più puliti.
Porco puzzolente, (pareva pesce palla), potendoselo permettere, pagò picchi, pappagalli, pernici pure, per portarsela.
Pennuti prezzolati, prendendola per piedini, portarono Pollicina presso posti paludosi, perché padrone petulante pretendeva possederla.
Pallida, preoccupatissima piangeva, poverina…
Piccolo principe pure piangeva, pentendosi per partenza posticipata.
Perlustrò parecchi posti, poveretto, prati, pagliai, poi, pure paludi…
Parallelamente, proprio presso pantano, Pollicina percepiva pesanti pressioni, perché promettesse premure perenni per padrone puzzone.
Poveretta! Prigioniera, pativa pesantemente, perciò, pensandoci, progettò piani per partirsene.
Procuratasi pezzi puntuti, parevano perni, piano piano, perseverando, perforò parete, poi passando per pertugio, partì.
Purtroppo, percorrendo pianure paludose, poteva procedere piano, perciò penò parecchio; prima perché pedinata, (pennuti prezzolati parevano piedipiatti!), poi perché, per proteggersi, penetrò pertugi particolari piombando presso posti pericolosissimi… passando parecchie peripezie.
Pure Principino, preoccupato, perlustrava paludi, procedendo passo passo…
Presso pantano principale parve percepire probabile presenza…
«Pollicinaaa» provò.
Pollicina, prontamente, palesandosi: «Principe, Principino prediletto!».
Passato pericolo passione proliferò.
Pollicina partorì più pargoli, piccini piccini, però proporzionati.

 

 

 

 

POLLICINO

Pinella, pastorella particolarmente piccola, partorì parecchi pargoli. Parevano proprio perfetti! Perfino Pollicino, pargoletto piuttosto particolare perché piccolissimo, pareva perfettamente proporzionato. Papà Pasquale, poveretto, pur partendo presto, per procacciare pietanze, perlustrando pinete per prendere pernici, puntualmente perdeva preda più pure pugnale. Per pranzo portava perlopiù pannocchie, per panificare, più poche patate, presi presso poderi privati. Passarono periodi piuttosto penosi, poveretti, perché potevano permettersi proprio pochi pasti. Pinella pareva parecchio preoccupata, principalmente per piccoli pargoli poco paffuti. Pasquale pure, preoccupatissimo, pensava… poi preferì parlarne: «Pinella, pargoletti piangono perché patiscono, probabilmente presto periranno. Preferisco perderli portandoli presso pineta, perlomeno potranno procurarsi più possibilità». Pinella prima pianse parecchio, pareva pazza poverina, poi persuasa, perché piuttosto provata, permise partenza.
Partirono presto. Pasquale, per portarseli, propose passeggiata perlustrativa, (posticcia).
Pollicino, percependo propositi paterni, prima passò per pietraia, procurandosi piccole pietre…
Penetrando pineta, proseguirono parecchio. Percorrendola, Pollicino posò parecchie pietruzze, puntando percorso… proprio percorrendo percorso precedentemente puntato, poveri piccoli, poterono presto presentarsi presso postazione paterna.
Pasquale pregava, perché propri piccoli perissero presto, patendo poco. Pregando percepì parlottio… perbacco! Proprio pargoletti, presentandosi, portavano piccoli passerotti presi percorrendo pineta. Pasquale, prima pentito, precipitandosi, prese piccoli, portandoli presso Pinella, poi però, pur provando parecchia pena, pronunciò parole pungenti: «Pinella, purtroppo povertà permane, piccoli pargoli presto periranno. Penetrerò più profondamente pineta, poserò piccolini presso posti più perduti».
Parlando pacatamente, persuase Pinella.
Pollicino, presentendo propositi paterni, percorrendo pineta, posò parecchio pane portatogli per pranzo, puntando percorso; purtroppo, però, Pollicino posava pane, pernici pappandoselo, pranzavano.
Pasquale, penetrando più profondamente possibile, portò poveri piccoli presso piccola piazzola, poi proseguì piangendo. Pollicino più pargoletti, paurosi, proseguirono. Proseguendo, per percorsi poco praticati,  presso prati piuttosto piatti, (parevano pascoli), percepirono presenze… «Perché profanate proprietà privata?» parlò Porzia, proprietaria piuttosto paranoica però pacifica. Prevedendo problemi, preoccupata, pronunciò parole precise: «Portatevi presso posti più pacifici, piccoli! Panorco prende pargoli per pranzare!». Pollicino parlò per primo: «Partiremo, promettiamo! Però prima potremmo pranzare?». Porzia, persuasa, permise permanenza.
Panorco, persona panciuta, parecchio prepotente, possedeva pantofole prodigiose: ponendoci piedi, poteva percorrere prontamente percorsi pure parecchio pericolosi. Presentandosi, posò pantofole, poi, presto, percepì presenze: «Puffi puffi percepisco puzza pargolucci!»
Porzia, poverina, per placarlo, portò patate, pane, persino pecore, però poté placarlo per poco, perché Panorco, presto, pretese: «Porzia, preparameli per prossimo pranzo!».
Presso Panorco presenziavano pure parecchie pargolette. Pettinate pomposamente, portavano pendenti pervinca. Perbacco! Panorco possedeva prole! Piccole pestifere, padroneggiando, parlottavano, punzecchiando Panorco: «Pàppateli papà, pàppati prima Pollicino!».
Porzia proseguiva, propinandogli pietanze per placarlo, però pur pappandosi pecore, più pure parecchie pagnotte, perfido prepotente, partoriva pensieri pessimi: «Piccoli pestiferi» pensava «pensano poter proseguire? Prenderò prima Pollicino, perché più piccolo, poi, piano piano, papperò pure pargoletti più pesanti».
Parallelamente, Pollicino, prevedendo pasticci, poiché Panorco pareva poco portato per posticipare pranzi, pensava: «Pulzelle pestifere portano pendenti pervinca… per precauzione, preleverò preziosi pendenti…».
Penetrando privatamente, prelevò pendenti…
Pollicino più pargoli, portando pendenti, parevano proprio pulzelle!
Panorco, preparandosi per pranzo, perlustrò postazioni, perché preferiva papparsi prima Pollicino. Palpandolo percepì pendenti: «Perbacco! Per poco pappavo Paolina!». Perciò proseguì, penetrando presso postazione preservata per propria prole. Perduti pendenti, pulzelle pestifere parevano proprio pargoletti. Panorco pappò prima Paolina, pargola prediletta, perché più piccola, (pareva Pollicino), poi proseguì, pappandosi propria prole.
Pien pienotto, (pareva pronto per partorire), pronto per pennichella post pranziale, poggiò pantofole prodigiose presso portone principale, pronte per prossima partenza.
Pollicino, pure pronto per partire, prima prese poche pietanze, più parecchia pecunia, poi pantofole prodigiose, portando pargoli presso postazione paterna. Pinella piangeva pentita, Pasquale pure… percependo piccoli passi, Pasquale, precipitandosi, prese Pollicino più pargoli, portandoli presso Pinella: «Pina, Pinella, prepara pranzo per pargoletti, presto!».
Pina, Pasquale più prole, per parecchi periodi poterono permettersi pranzi pomposi, poi, procurandosi parecchie pecore, prima produssero principalmente pecorino, poi, per procurarsi più pecunia, produssero pure provoloni.
Panorco pianse parecchio, poverino.

 

 

 

 

PERLA PRINCIPESSINA PUROSANGUE
(La principessa sul pisello)

Pio, principino piuttosto pretenzioso, pretendendo partner perfettamente principesca, penava parecchio.
Parenti prossimi, preoccupati, prodigandosi per procurargli principessina purosangue, passarono per più paesi, pescandone pure parecchie, però, purtroppo, pur parendo principesse, poi palesavano provenienze plebee.
Passarono periodi piuttosto pesanti per principino Pio, perché più principesse posticce presidiavano perennemente palazzo principale, perseguitandolo.
Passando per porticina poco presidiata, Perla, principessina pallida, pacata, penetrò, presentandosi prepotentemente presso principino Pio. Presentatasi, pareva proprio plebea, perché portava panni pessimi, persino puzzolenti, parevano proprio putridi.
Principino Pio prima pensò: «Pare proprio plebea. Puzza pure, per Plutone!».
Poi però, perlustrandola, pensò: «Però! Pare piuttosto piacente! Proviamola!» permettendole permanenza.
Parenti prossimi palesavano preoccupazione, poiché Perla pareva proprio poverissima, perciò pretesero prove.
Per permetterle pisolino, prepararono parecchi pagliericci, però, prima, presero piccolo pisello, posizionandolo profondamente presso primo pagliericcio. Poi ponendo più pagliericci, prepararono postazione per Perla.
Poveretta, pur parecchio provata, posizionandosi per pisolino, percepì piccola protuberanza… perdinci! Perla percepì piccolo pisello posizionato profondamente presso primo pagliericcio!
Percependo pisello, parlò: «Perbacco! Percepisco piccola pallina, pare pie-truzzola, punge parecchio!».
Parenti petulanti, prima paralizzati, poi, portandosi presso principino, pronunciarono poche parole: «Principino, potete prendere Perla per partner perché, pur parendo plebea, possiede provenienza patrizia!».
Pio, prima perplesso, pensò: «Perbacco! Proprio Perla: piccolina, pallida, pacata… piacente…» poi proferì parola: «Portatemela!».
Passionalmente presi, passarono parecchi periodi piacevoli.
Perla partorì più pargoli; Pio, papà pimpante, perennemente presente, provvedeva per procurargli passatempi.

 

 

 

 

RAPERONZOLO

Rebecca, ricamando rattristata, ripeteva religiosamente: «Regina, Regina raggiante! Rendimi riproduttiva, risanami! Romualdo ridiverrebbe raggiante rincorrendo ragazzini! Regalacelo, Regina rigogliosa, Regalacelo…».
Reclinandosi reverenzialmente, recitava ripetutamente riti religiosi, reputandoli risananti.
Romualdo, rincasando, ritrovò Rebecca, realmente raggomitolata, recitare riti; rabbioso, reagì rudemente: «Rebecca riprenditi! Risulti ridicola! Rimarrai ricurva restando raggomitolata, rimettiti ritta!». Rebecca, repentinamente, rinsavì; rialzandosi, rispose: «Rasserenati Romualdo! Riposerò.» ritirandosi remissiva.
Romualdo, riflettendoci, rimase rammaricato…
Ritornò remissivo; Rebecca rassettava, ripetendo recite religiose.
«Rebecca riprenditi! Riprovandoci ripetutamente, riusciremo!».
Riappacificatasi, risoluti, riprovarono… riuscendo.
Rebecca, rivelatasi regolarmente riproduttiva, riconoscente recitava: «Regina, Regina rilucente, reciterò regolarmente riti, rivolgendoti ringraziamenti!».
Romualdo, radioso, ritenendosi responsabile, raccomandava ripetutamente: «Rebecca riguardati! Rettifico: riguardatevi!». Rebecca, riposando, rideva, ritenendolo ridicolo.
Rachele, ricca residente, raccogliendo raperonzoli, rallegrata ripeteva: «Realizzerò ricette rinomate! Realizzerò ricette ricercate!». Rebecca, ridestandosi, rimbalzò: «Romualdo! Romualdo! Rachele raccoglie raperonzoli! Realizzerà ricette raffinate… rubaglieli! Recameli!» ripeteva rabbiosa.
Romualdo rispose rapidamente rimproverandola: «Rebecca rilassati! Rivoltandoti rischi rogne! Ragiona: rubando raperonzoli rischierei reclusione!».
Rebecca, risentita, rosicava…
Romualdo, rammaricato, rimurginava, ricercando risoluzione.
Ripensandoci, rassegnato, risolse: «Ruberò raperonzoli recintati! Rebecca ridiventerà radiosa!».
Ruppe recinto.
Ricurvo, raccoglieva raperonzoli, rischiando realmente rogne.
Rachele, rilassata, rimestava rape, rosolandole… recependo rumori, ridiscese, ritrovando Romualdo rubare raperonzoli.
«Ratto rognoso, rubi raperonzoli? Riprovevole!» ruggì rivolgendogli rivoltella. Romualdo rosso rosso, rimanendo ricurvo ripeteva: «Riparerò, rispettabile Rachele, ripianterò raperonzoli!».
Rachele, rabbiosa, ribatté: «Risarcirai rape regalandomi ragazzetta! Ricordatelo!».
Romualdo, rattristato, rincasò, ribollì raperonzoli, rifocillando Rebecca.

Ricevettero Rossella, ragazzina rossiccia, ricopiosamente riccioluta.
«Rinominatela Raperonzolo!» ruggì Rachele ricattandoli.
Ragazzetta raffinata, Raperonzolo, ricreandosi, rincorreva ranocchi rimbalzanti… Rachele, rapida, realizzò rapimento.
Risvegliandosi, rintronata, ritrovatasi rinchiusa, ricordando rapimento, Raperonzolo richiamava Rachele: «Rachele, Rachele, riconsegnami!».
Rachele risoluta rispondeva: «Resterai rinchiusa!».
Rimanendola realmente relegata.
Raggiungeva Raperonzolo recitando ritualmente: «Raperonzolo, Raperonzolo, riversa riccioli rossi, risalirò recapitandoti rifornimento rifocillatorio!».
Raperonzolo riversava riccioli rossi, Rachele risalendoli, raggiungeva Raperonzolo.
Ricco ragazzotto, Reginaldo, rincasando, ravvisò rumori…
Rimanendo rintanato, realizzò: «Raccapricciante! Rinchiudere ragazza relegandola! Rimedierò!».
Rincasata Rachele, Reginaldo, rivelandosi, recitò: « Raperonzolo, riversa riccioli rossi, risalirò recapitandoti rifornimento rifocillatorio!».
Rapidamente, ricomparvero riccioli rossi; risalendoli, raggiunse Raperonzolo.
Rimasero raccolti. Reginaldo rassenerò Raperonzolo raffigurandole ritorno.
Rimanendo rasenti risultavano romantici!
Rebecca rivedendo Raperonzolo rabbrividì; Romualdo rimase rintronato.
Riabbracciandosi ridevano rallegrati.