“Domenica” Raymonde Saez
Chiudo gli occhi e nel profondo della mia memoria cerco.
Quando mi prende la malinconia è nei ricordi che trovo consolazione.
Mi rivedo bambina, col vestito della festa pronta per andare a messa; mio fratello aveva l’impegno gravoso di accompagnarmi.
La messa, un’ora assorta ad ascoltare parole di bontà e speranza.
Che fine hanno fatto bontà e speranza?
Perse tra egoismi e indifferenza.
Poi il solito rito: comprare qualche caramella.
Il pane e i dolci erano compito di mio fratello.
Se mi sforzo sento ancora la fragranza del pane ancora caldo. Mi inebriava più dei dolci.
Poi il ritorno a casa, quasi Via Crucis; come Cristo, diceva mamma, avevo le mie stazioni: Jeanne, la signora Dabard o la signora Plisson. Due chiacchiere con tutte e tornavo a casa felice, con la loro carezza sul viso. Hanno illuminato, della loro tenerezza per me, una non semplice infanzia.
Ancora adesso abitano il mio cuore.
Ed era il pranzo della domenica ad aspettarci col tavolo preparato a festa. I fiori sul tavolo, la tovaglia bella, era come ricercare una normalità dove normalità non c’era.
Però non la cambierei per niente al mondo.
Abbiamo ricevuto l’unica cosa importante: l’amore dato a iosa e un cuore di madre fiero dei suoi figli.