“Angelica” Roy Roberto
Ancheggiava.
Vestito stretto, che lasciava poco all’immaginazione.
Seni che sembrava traboccassero dalla scollatura.
Sentiva gli sguardi degli uomini addosso, che oscillavano fra seni e gambe, incerti su dove fermarsi ad osservare tutto quel “bendidio”.
Ormai era “bollata”. Ma lei, Angelica, aveva una preda precisa: il vecchio prete.
Certo, lui le impediva di entrare durante la funzione “così conciata”. Ma intanto la guardava.
Angelica sapeva che, prima o poi, sarebbe caduto.
Nessuna fretta: sperava solo che Iddio non chiamasse il prete prima di lei.
Così iniziò a entrare in chiesa la sera, ad aspettarlo al confessionale.
Gli raccontava di amplessi…
Come previsto, lui cedette: le mise le mani addosso, la portò nella sagrestia.
Angelica si lasciò spogliare, poi prendere; ansimava l’anziano parroco.
Lei, incollò la bocca a quella di lui impedendogli di respirare, vincendo lo schifo che,
solo per un attimo, le aveva accapponato la pelle.
In pochi attimi, il prete divenne paonazzo e con un rantolo, portò le mani al cuore.
Angelica toccò il polso del prete: aveva fatto quello per cui, un anno prima, era ritornata da Roma.
Uscì nel freddo della sera, imboccò il viale coi platani, valicò il cancello e si inginocchiò.
La scritta recitava “20-12- 1985 / 21- 1 -2002”, “Riposa in pace.
“Ho fatto tutto”, si disse.
Le lacrime bagnarono il terreno consacrato e Angelica si sentì in pace.
Per la prima volta, dopo la morte per aborto procurato, di sua sorella.
Poi s’alzò e si diresse verso la scritta che campeggiava bianca e blu: “Polizia di Stato”.