Sintobiografia e sintoscritti di Salvatore Viscuso
Acquario, ascendente Gemelli
e luna in Cancro; del ’61, Siciliano di Catania,
anzi: dell’Etna. Turbolento dentro e appena appena anche fuori,
appaio pacifico e a volte addirittura sorridente
ma vi assicuro, ho la vocazione dell’Anarchia.
Ex ricercatore dell’occulto, adesso mi dispero nel cercare di capire l’inafferrabile palese.
Filosofo mancato, scemo mancato, mi manca la Vita: la vostra e la mia. Vivo di libri e coi libri: faccio il libraio antiquario
e percepisco appieno la vita extraterrestre
ogni qual volta tento il dialogo col mio commercialista.
Insomma, ho uno Spirito che si crede forte,
un’Anima che è un’animuccia e una Mente vagabonda…
In un Corpo che è più anarchico di me.
Sognava.
Sognava sempre.
Desiderava un mondo di continuo stupore,
di crescente Bellezza.
Lo desiderava nelle piazze, nei cortei.
Nel fondo di forre scavate dai torrenti.
Accanto alla lava e alla roccia.
Negli occhi della ragazza più dolce.
Senza titolo
Se le mie parole gireranno a vuoto,
chiamerò i miei occhi.
Darò voce alle mani.
Parlerà la mia pelle.
E il mio cuore si farà profumo.
Mi risponderanno, allora, tutti i tuoi cieli.
E tutte le tue terre.
Saremo trovati da lacrime felici
e sparirà la sete antica.
Torneremo ciò che abbiamo scordato d’essere:
semplici, felici, abbaglianti verità.
Se incontri un Buddha per strada, uccidilo (Cit.)
Ho incominciato leggendo rivistine strane; di quelle che parlavano di simboli e misteri. Attratto dall’Astrologia, l’ho studiata.
In India, ho praticato il Misticismo. Quello tantrico.
Ma, la sorte, mi ha consegnato un Maestro -un lama- ed ho passato mesi di totale solitudine su una montagna in Tibet.
Il silenzio mi regalò buffi poteri e mi consentì di mostrare al mondo le mie nuove abilità: camminavo sui carboni ardenti e materializzavo oggetti.
Ogni tanto, scacciavo un demone.
Cominciavo a farmi dei seguaci ma, la cosa, mi annoiava.
Partii, quindi; e andai in Amazzonia ad apprendere dagli sciamani.
Ma anche gli Iniziati soffrono l’umidità: me ne andai presto, approdando tra i sufi di Turchia. Sapete, la Sincronicità è sempre in agguato: fu quando mi accorsi di soffrire di labirintite, che incontrai un Napoletano esperto in Teurgia. Mi accolse come suo Prescelto e lo seguii volentieri.
Percorsi cammini d’oro e d’argento; raggiunsi vette da non potersi dire.
Tutto questo, anni fa.
Sono così stanco.
Non vedo l’ora di incontrarmi per strada.
E uccidermi.
Vincitore della sintogara "Le quattro stagioni di Sintetizziamoci"
Tre parole ed un unico misero mondo
Scarpe tacco uno.
Ciabatte, insomma; infilate su piedi gonfi come melanzane, in casa e fuori.
Tanina non aveva grilli per la testa:
un marito alcolizzato e sei figli da crescere, non te li consentono.
Quartiere popolare e mercato di frutta e verdura rionale
erano tutto il mondo che non fosse casa.
Casa… Ma sì: chiamiamola così!… Tre stanze, un bagno.
Per un totale di 16 pareti dipinte dalla muffa: due a testa.
Al marito, i peperoni non piacevano; manco quand’era strafottuto di vino.
Ma erano così belli, quel giorno. Verdi, gialli.
E rossi… O anche di due colori: uno a sfumare nell’altro…
Non aveva certo tempo o modo di riflettere su sé o sulla sua vita, Tanina.
Ma qualcosa, dentro, scattò.
Ne comprò un cesto intero, di quel Colore da Mangiare.
Vestiva di nero, sempre. Ma, adesso, c’era colore.
In casa, tutto grigio?… Bene: oggi, colore.
Rincasata, avrebbe dovuto cucinarli.
Li appese, invece. Uno per parete: anche in bagno.
E i figli stavano a guardare, a bocca aperta.
Vincitore della sintogara "Le tre parole"
Tina è tornata
A quattro mani con Cristina Agostinelli
Tina è tornata
Il nostro solito scoglio, Turi.
È una bellissima notte: vieni, siedi accanto a me.
Come allora, dieci anni fa.
Noi due.
E il mare.
Volevo un bacio, ma non mi baciasti
(forse, hai avuto paura).
Forse, hai pensato alla nostra amicizia.
E quel bacio è rimasto sospeso, nel tempo.
Poi, quel giorno, alla stazione.
Partii col cuore spezzato, le lacrime trattenute a fatica.
Andavo da Tano, così caro a entrambi.
Mi amava da sempre.
Tu, lo sapevi.
E non mi hai fermata
(prendimi la mano, stringila).
Troppi anni, da allora.
Ma la nostra amicizia è così.
Nessuno, potrà spezzarla.
E un bacio, la protegge.
Quel bacio non dato.
Vincitore della sintogara "A quattro mani"
Vecchio
Vedovo, e niente figli. E gli anni erano già 88.
Aveva scartato la possibilità di rimanere in casa, magari con una badante. Sperava di trovare stimoli nuovi e nuove amicizie.
Ospizio, dunque.
Si decise per quel vecchio e rinnovato edificio nell’entroterra, in stile liberty. La casa era ben tenuta e amministrata.
C’era pulizia ed efficienza. Ottimo il cibo e sollecita l’assistenza.
Tutto lindo, bianco. Anche troppo.
Come i sorrisi degli assistenti, così formali e asettici.
Ma si accostò alla nuova vita come uno scolaretto al primo giorno di scuola, sicuro che i nuovi compagni l’avrebbero accolto con simpatia e curiosità. Così conobbe Ettore, il piacione; Ginevra, la tocca; Marino, lo scorbutico.
E Giovanni, Maria, Irene, Gianluca…
Ben presto però si accorse di quanto tutti fossero rincagnati nel proprio egoismo, nelle loro quotidiane miserie.
E non poteva farci niente.
Fu così che passarono tre anni vuoti e solitari.
E lo scolaretto si stufò di andare a scuola.
Era un giorno nuvoloso, quello in cui non tornò dalla sua passeggiata mattutina.
Camminò per tutto il tempo, senza fermarsi.
Anche se gli andavano a fuoco le ginocchia.
Anche se la schiena si spezzava.
Al tramonto, distrutto, arrivò.
Se doveva morire, voleva farlo respirando il Silenzio.
Lasciandosi accarezzare dalla Bellezza.
Ed eccolo, il mare.
La tua nudità
E mi dà estasi, ancora,
quella tua nudità.
Cesellata da anni ed affanni, sì.
Ma che, sul tempo, vince.
Così come sulle vicissitudini.
Sul dolore.
Su una qualsiasi giovane,
incolore bellezza.
Notte d’incanto
Ieri sera la luna era piena, questo lo sapete tutti.
Ciò che vi sfugge, è che c’erano esseri fantastici in giro.
Messer Vento (pigro, lui), che si faceva desiderare: più sonnacchioso di un gatto castrato.
Messer Mare (invitante, lui), col vestito della festa: argento cangiante e festoso brillio.
Non molto da dire (solo da stupirsi) su Madama Luna: spettacolo puro, come puro il suo incanto.
Eppure, eppure… altri esseri se ne andavano in giro, ieri sera,
e, con spirito nuovo, rabbrividivano di calda speranza;
con stupita gioia, rinnovavano la propria Vita.
Quegli esseri (quanto fantastici!) eravamo Io e Te.
Inutile parlarmi di te
Inutile, parlarmi di te.
Delle tue notti insonni, di quelle aurore stupefatte.
Di quando, allo specchio, ti sposti i riccioli dagli occhi.
Occhi umidi, a sera. Gonfi, la notte.
Eppure, l’alba arriva. …
E li apri alla luce, al giorno.
Alla speranza di tornare all’amore.
Sintoironicamente
ANNO 2034: CONCORSO DI POESIA PER ANDROIDI TIPO C-333.
Poesie perfette. Giuria alquanto mesta. Il pubblico applaudiva. E sbadigliava.
***
UNA VITA AL MODO DI ESCHER
Impossibile e cangiante. Trasognata e impertinente. Esattamente come stare con te.
***
IELLA
Quel ragazzo col cuore mai rifatto cambiava marciapiede, intravedendo una bella ragazza. L’emozione era insostenibile. E il vento, contrario.
***
MALPENSARE
Era rimasto alla fase orale. E non capiva che male ci fosse. Mangiava, fumava. Baciava.
***
INERZIA
Bisogno, necessità. O magari solo noia. Allora sì che lo smuovi, quel tuo
Scene da un interno siciliano
Vi ringrazio, sorelle mie.
Sono nato dopo di voi e avete giocato a far le mamme
(e spesso, mica tanto giocato: a volte
dovevate prendervi cura di me sul serio!).
Siete nate femmine ed io maschio.
Un bel po’ di anni fa, in una Sicilia più tradizionale che oggi.
Questo significa che vi siete addossate cose che toccavano anche a me.
Vi occupavate della casa, della cura di tutti noi.
E, oltre a mamma e a papà, c’erano anche altri due fratelli,
ahimè, maschi.
Avete distolto da me l’attenzione di papà,
concentrato com’era sulla sua gelosia per voi.
In quanto maschio, ho goduto di tutte le libertà che
a voi, non erano permesse:
uscivo quando volevo e potevo stare in casa a non far niente.
Voi, incombenze, lavori e doveri.
Per me, solo la mia stolidità di maschio.
… Tranquille: la prossima volta che nasceremo,
la situazione sarà invertita:
io, femmina, voi, maschi.
… Tanto ci sarà il matriarcato, lo so!
Abbiamo bisogno di eroi
ABBIAMO BISOGNO DI EROI…
Di semine. Di sudori.
Di persone che sappiano cos’è aver cura. ESSERE cura.
Si può seminare anche solo perché si è consapevoli che sia giusto farlo.
Senza attendersi, necessariamente, un raccolto.
Ecco: sono questi, gli eroi di cui abbiamo bisogno.
Poi, un raccolto forse arriverà. O forse no. Non è così importante.
Non quanto seguire la propria coscienza.
Abbiate cura dei vostri cuori!
…Hanno bisogno del vostro Tempo, della vostra Dedizione.
Manteneteli puliti: che siano chiari, trasparenti.
Ogni tanto, sprimacciateli, come fate con i cuscini:
capiranno che devono rimanere forti.
Nutriteli di Bellezza: vi ringrazieranno.
Non teneteli al chiuso, non asfissiateli: hanno bisogno di Sognare.
Non negate loro la compagnia di altri Cuori:
hanno un estremo bisogno di bere alla Fonte dell’Altro.
Solo così sapranno essere vigili.
Pronti all’Incontro.
Chiedo scusa se parlo di Poesia
Di quando irrompi, vento.
Tessuta d’aria e niente.
Un inganno che non mente.
Di quando bisbigli, canto.
E mi porti fino al pianto.
Merlettandomi di Te.
Di quando sei silenzio, attesa.
Una promessa mai baciata.
Ma non ti tocca, la mia resa.
Chiedo scusa, se parlo di Poesia.
Chiedo scusa, se parlo della mia.
Il primo bacio
Ho sempre fuggito l’amore.
La mia vita è stata piana, senza scosse.
Ho sempre trovato stupido questo lasciarsi andare.
Sentimenti e passioni, non mi hanno mai toccato.
E sono secoli, che vivo da solo.
Ho una mente fredda, razionale.
Ho cominciato a lavorare presto e, di soldi, ne ho fatti tanti.
Sono vecchio, adesso.
Da cinque anni ormai, mi siedo su questa panchina.
La mia vita finisce.
Senza passione, così come è sempre stata…
… Tuttavia – sono due settimane adesso – questa ragazzina
ha preso l’abitudine di sedersi accanto a me.
Ha quindici anni, e me li ha raccontati tutti.
Ero imbarazzato – ed un bel po’ scocciato – all’inizio.
Ma, presto, mi si è acuito dentro qualcosa di nuovo.
Una sorta di curiosità.
Una forma di demenza senile, mi son detto.
Ma non ho l’energia – o, forse, la voglia – per contrastarla.
– Signore – così mi chiama: il mio nome non l’ha mai chiesto.
– Signore, oggi sono qui per l’ultima volta. Vorrei darle un bacio. Posso? –
Arrossisce, dicendolo. E mi guarda, intenta.
Poi, lo fa.
Non in fronte, o su una guancia.
Sulle labbra.
Morbidamente.
E si alza. E corre via.
Senza salutare. Senza voltarsi indietro.
La guardo allontanarsi, basito.
Si allontana dalla mia vita.
Da quella stessa vita da cui mi sono sempre tenuto lontano.
Non so che espressione abbia il mio viso, in questo momento.
Potessi vederla, so che non la riconoscerei.
Sì: non può essere altro che demenza senile.
Erano settant’anni, che non piangevo.
Forse casa
Adesso, il sentiero si biforca. Assurdo. Quante volte, son passato da qui.
Non ho nessuna memoria, di questo bivio. Non me lo ricordo.
Faccio appello a risorse e conoscenze, mi decido per il tratto in salita.
E’ già buio, già sera ma, fra non molto, dovrei arrivare. Sono molto stanco.
Tanta strada, per delle scarpe così inadeguate. Per uno zaino così greve.
Quanto vento, quanta pioggia.
Lo so, che esiste il Sole. L’ho intravisto, a volte.
Mi è sembrato di percepirne un raggio, quando il vento soffiava a favore.
Ma è stato un attimo. Ripiove anche adesso, che è sera.
Riesco a stare caldo solo se cammino.
Mi sovviene di quand’ero piccolo, di quando giocavo.
Ragazzo, dell’amore di Emma. E di anni ed anni di tragicommedie.
Rimpianti, rabbie. Sogni in avanscoperta verso l’insulso.
Fino a stanotte, su questo sentiero che non riconosco più.
Spunta, insperata, la luna, tra le nuvole. Mi fermo a guardarla, ma sparisce. Non mi rimane che riprendere ad avanzare.
Incespico. Cado. E cado male.
E’ un letto di sassi e c’è troppo sangue.
E’ il mio ultimo letto, credo.
Il cielo si apre. Regala stelle.
Forse, anche casa.