Sintobiografia e sintoscritti di Raymonde Saez
Volontaria della Croce Rossa da 12 anni.
Francese ma di origini spagnole, italiane e una bisnonna indios.
Però francese sono!
Voilà!
Scrivo storie per le persone che non stanno bene.
” … E se diventa vera Amicizia ce ne accorgeremo, felici per il regalo, grati di questo immenso dono.
Non scriviamola in tutti tempi, in tutte le salse.
Che ridiventi bella preziosa questa piccola grande parola… “
La ballade de Pascal
Cen’est pas une poésie
encore moinsune mélodie.
Ce ne sont que paroles.
qui volent, s’envolent
en une étrange, folle farandole.
Tendrementellessusurrent
surtoutes nos blessures
car c’est la douleur
qui cohabiteavec la peur
Quand on se sent de nulle part ou d’ailleurs.
Cesont des mots écrits
pour apaisernosesprits.
Car un beau matin
Il nous a laissé orphelins
sans aucun len demains.
Non ce n’est pas une mélodie
ancore moins une poésie.
A Pascal
I colori dell’anima
E’ bianca l’innocenza dell’infanzia,
verde alle prime emozioni,
rossa quando la tocca l’amore;
ridiventa bianca quando il cuore si acquieta e la maturità comanda.
Ma è arcobaleno quando scoppia di gioia.
Una storia semplice
Era semplice la sua vita, andava su binari paralleli senza inceppi.
Lavoro, casa, famiglia, sembrava tutto immutabile.
Poi quando la routine diventa la musica della tua vita, tutto cambia.
Il lavoro che non c’è più, la paura che regna e la tua dignità calpestata; si vive di disoccupazione e di pochi risparmi.
Allora inizia la discesa agli inferi: liti, incomprensioni, angoscia.
Diventi un altro, hai voglia di spaccare il mondo. Ma hai mente e mani vuote, ti senti smarrito, abbandonato, non ti riconosci più.
I pensieri si fanno cupi, ti senti in colpa, non vedi uscita; allora in mente nasce l’idea insana, come un chiodo fisso, si affaccia ad ogni momento e arriva il giorno in cui credi che non ci sia altro modo.
Ma sei ancora a qui a lottare.
Per un sorriso, un gentile e semplice sorriso di un’impiegata, ti ci sei aggrappato come ad una boa di salvataggio.
In quel sorriso hai trovato un mondo di comprensione, un inno alla vita.
Hai capito che ancora, malgrado tutto, esiste la solidarietà e l’umanità.
Hai ripreso il tuo cammino difficile più forte e consapevole, pronte ad affrontare i mostri. qualsiasi loro siano perché questa è la vita.
Fugacità
Siamo bolle di sapone
castelli di sabbia
Non lasceremo traccia
Nell’umana memoria.
Solo una soave scia
un lieve ricordo
Preservati al sicuro
Nelle pieghe del tempo.
Tu, il mio coraggio
Ho paura.
Raccontami una storia
di fate o angeli,
dove le parole
sempre sono buone.
Ho paura.
Cantami una nenia di elfi o gnomi,
dove gli incantesimi
sempre sono magici.
Disegnami un paesaggio
di fiori e fiumi
dove i colori
sempre sono belli.
Non ho piu´paura.
Chiudi la porta.
Adesso sei qui,
con me, sempre.
Ad amarmi.
Interno
Chi si addentra
è fulminato,
non si aspetta
tanta bellezza.
Chi sa guardare
è attonito,
non sa spiegare
questa magia.
Ci sono pareti
di speranza,
con la mobilia
di fiducia.
Appesi quadri
di parole,
dal panorama
solo d’amore.
Chi visiterà
lo strano interno,
si innamorerà
del suo stile.
Anche se l’esterno
sembra banale,
la sua anima
illumina in eterno.
La donna del quadro
“La donna del quadro” sono io.
Ho male ancora, il mio corpo immobile sotto lo sguardo senza amore del “grande artista”.
Quel corpo che doveva rimanere così, privo di vita, si è ribellato. Perché non lo so.
La frustrazione, la rabbia di essere trattata come un oggetto o peggio ancora, come un pezzo di carne dal macellaio.
All’inizio ero lusingata, l’artista mi aveva scelta, sarei stata in eterno sotto gli occhi di tutti; ma il disincanto è arrivato presto: mai un saluto, una parola gentile, niente: ero solo un’immagine nel suo sogno, un supporto, un’idea creata dalla sua mente. Non esistevo veramente per lui.
Ore e ore a posare nel suo mondo, per finire come colore sulla tela.
I crampi, il freddo e la noia hanno avuto il sopravvento, ho cominciato a tremare. All’inizio qualche fremito, poi davanti alla rabbia dell’artista, sono iniziati gli spasmi: credevo di morire, mentre lui urlava: ” portatela via subito!”
Non sono più tornata, ma ancora ho male.
So che la tela ha riscosso un grande successo, uno stile nuovo, dicono.
L’ha intitolata “dolore di donna”.
Azzeccato, direi.
Domenica
Chiudo gli occhi e nel profondo della mia memoria cerco.
Quando mi prende la malinconia è nei ricordi che trovo consolazione.
Mi rivedo bambina, col vestito della festa pronta per andare a messa; mio fratello aveva l’impegno gravoso di accompagnarmi.
La messa, un’ora assorta ad ascoltare parole di bontà e speranza.
Che fine hanno fatto bontà e speranza?
Perse tra egoismi e indifferenza.
Poi il solito rito: comprare qualche caramella.
Il pane e i dolci erano compito di mio fratello.
Se mi sforzo sento ancora la fragranza del pane ancora caldo. Mi inebriava più dei dolci.
Poi il ritorno a casa, quasi Via Crucis; come Cristo, diceva mamma, avevo le mie stazioni: Jeanne, la signora Dabard o la signora Plisson. Due chiacchiere con tutte e tornavo a casa felice, con la loro carezza sul viso. Hanno illuminato, della loro tenerezza per me, una non semplice infanzia.
Ancora adesso abitano il mio cuore.
Ed era il pranzo della domenica ad aspettarci col tavolo preparato a festa. I fiori sul tavolo, la tovaglia bella, era come ricercare una normalità dove normalità non c’era.
Però non la cambierei per niente al mondo.
Abbiamo ricevuto l’unica cosa importante: l’amore dato a iosa e un cuore di madre fiero dei suoi figli.