Sintobiografia e sintoscritti di Roy Roberto
Roberto nasce 54 anni fa. Roy nel 2010, perché è uno pseudonimo. Insieme convivono bene. Amano visceralmente il mare e la musica, pur rimpiangendo di non conoscerla.
Sovente indugia su colori, libri, arte.
Studia da Capitano di lungo corso, poi decide di andare per libri e si laurea in Ingegneria Elettronica.
Dopo 17 anni di detenzione impiegatizia, si mette in proprio, adottando la massima di “Peppino ‘o meccanico” – Ieri ho guadagnato abbastanza. Oggi sono chiuso e vado al mare – (Così parlò Bellavista).
Roy scrive per diletto, Roberto legge, non sempre con apprezzamenti.
A Pascal
Di te so poco, di me sai niente
Di me so poco. Di te sai tutto
Maledetta guerra
Caro Carlo,
sai, ho riletto il suo nome. L’ho riletto sul monumento ai caduti, nella piazza della sua città.
Gita “geriatrica” al mare. Il medico aveva insistito, – Hai bisogno di sole, hai 70 anni. Vai un mese al mare – .
E la mutua cazzo, proprio lì doveva avere la convenzione.
La prima sera sono uscito.
La piazza principale, la stele: tutto troppo facile.
Sulla prima facciata del tetraedro lui non c’era; ho girato attorno al monumento. Non c’era. Impossibile.
Ho ripreso il giro, come pallina sulla roulette e sulla terza faccia l’ho visto: ” 1923- 1944 Fronte Russo” E gia’.
Faceva un freddo cane, quella notte. Immaginavamo che i bagliori fossero fuochi di un camino ed il tenente in trincea.
– Forza ragazzi, sarà l’ultimo Natale in questo merdaio. Portiamo le palle a casa, ché il prossimo saremo fra le gambe di qualche bella troia! – .
Poi i comunisti iniziarono a far cantare una mitragliatrice, che non ci lasciava neanche alzare la testa. Ed avanzavano.
Minchia! Sentivo addirittura i loro: “Buistra!! Buistra!!!” (veloci, veloci!!!).
Avevano fretta di ammazzarci ed io avevo una paura fottuta dei Rossi.
A scuola, lo sai come ce li descrivevano.
Una pallottola lo colpì di striscio, lui cadde, svenne. Madonna! Eccoli. Ed il tenente, – Non arretriamo di un centimetro, viva l’Italia!!!” –
– Dio, sento i loro passi… freddo, terrore, paralisi –
Vidi che davano anche il colpo di grazia ai caduti.
Sai quando non ragioni più? Sai, quando senti che ti pisci nei pantaloni?
E sai che gela in un attimo, sul fronte russo?
Il compagno Ivan arrivò. Sputò, estrasse l’arma e sparò, alla nuca…
Com’è andata a finire lo sai.
Forse dovrei scrivere al russo, non a te, per dirgli ” Ivan, lo sai che non vali un cazzo, tu e tutta la tua Armata Rossa? Eravamo due, Ivan. Io ero sotto. Non ti maledirò mai abbastanza, per non aver sparato anche la seconda pallottola”.
Il sole alle spalle
Freddo e pioggia. Non proprio tempaccio, ma certo non confortevole.
Faceva il paio con la situazione da cui usciva.
Le luci degli alberghi di periferia sfilavano sulla sua destra,
sparivano per un po’, poi venivano richiamate dallo specchietto retrovisore.
Tornava da casa di lei, dove aveva messo la parola “fine”. Viaggiava nella notte.
Quasi albeggiava.
Adesso però guardava dove andare.
Prima, con lei, viaggiava senza chiedersi nulla. Gli piacevano, sia lei, sia il fatto che fosse dentro quella storia.
Non l’amava, ma gli piaceva.
“E’ necessario che una donna lasci un segno di sé, della propria anima, ad un uomo. Perché a scopare siamo brave tutte”. La massima della Merini, gli tornò in mente: si, condizione necessaria.
Viaggiava, mentre la radio diffondeva note di notte, da notte; quelle che se sei innamorato ti cullano.
Quelle note, che se hai un principio di magone nel cuore, te lo ingigantiscono.
Lui guidava, illuminando dentro sé. Non vide segni di lei.
La radio in quel momento proponeva Battisti : “Nessun dolore”.
Accese la sigaretta, aspirò profondamente.
Piacevole, come dopo l’amore.
Dietro, il sole spuntava.
Angelica
Ancheggiava.
Vestito stretto, che lasciava poco all’immaginazione.
Seni che sembrava traboccassero dalla scollatura.
Sentiva gli sguardi degli uomini addosso, che oscillavano fra seni e gambe, incerti su dove fermarsi ad osservare tutto quel “bendidio”.
Ormai era “bollata”. Ma lei, Angelica, aveva una preda precisa: il vecchio prete.
Certo, lui le impediva di entrare durante la funzione “così conciata”. Ma intanto la guardava.
Angelica sapeva che, prima o poi, sarebbe caduto.
Nessuna fretta: sperava solo che Iddio non chiamasse il prete prima di lei.
Così iniziò a entrare in chiesa la sera, ad aspettarlo al confessionale.
Gli raccontava di amplessi…
Come previsto, lui cedette: le mise le mani addosso, la portò nella sagrestia.
Angelica si lasciò spogliare, poi prendere; ansimava l’anziano parroco.
Lei, incollò la bocca a quella di lui impedendogli di respirare, vincendo lo schifo che,
solo per un attimo, le aveva accapponato la pelle.
In pochi attimi, il prete divenne paonazzo e con un rantolo, portò le mani al cuore.
Angelica toccò il polso del prete: aveva fatto quello per cui, un anno prima, era ritornata da Roma.
Uscì nel freddo della sera, imboccò il viale coi platani, valicò il cancello e si inginocchiò.
La scritta recitava “20-12- 1985 / 21- 1 -2002”, “Riposa in pace.
“Ho fatto tutto”, si disse.
Le lacrime bagnarono il terreno consacrato e Angelica si sentì in pace.
Per la prima volta, dopo la morte per aborto procurato, di sua sorella.
Poi s’alzò e si diresse verso la scritta che campeggiava bianca e blu: “Polizia di Stato”.
Insonnia
Ci vuole più di uno binocolo per fare il cercatore di stelle. E ci vuole più di un setaccio, per cercare l’oro.
Ho un binocolo bellissimo in legno, dell’Ottocento. Non so, in realtà, se sia dell’ottocento. A me piace pensare che lo sia. E poi, sa di mare, odore di legno impregnato di mare. Come a Bergen, dove tutto sa di mare. Bergen ha un porto antico, bellissimo.
Casupole umide, piccole, a ridosso dell’acqua. “L’acqua di mare lava ogni ferita, e il sole le rimargina” si dice da me.Funziona anche per l’anima? Se funziona, lo fa lentamente. Stasera non mi sopporto. Non sopportarmi neanche tu. Domani non pioverà: cielo sereno stanotte, gioco col binocolo.
Io non ho acqua di mare adesso e qui. La pioggia farà lo stesso. Aspetteremo per vederci. “Bisogna aver pazienza”, mi hai detto. L’avrò. Di me stesso, dai miei sentimenti, del cammino sul quale continuerò a lasciare orme. Quali orme? Intanto cosa ci sarà, in mezzo? Non lo so. Però ci sei tu, adesso. Finirà questa interminabile mail, e te le manderò. Ho troppa voglia di vederti, prima o poi, e di amarti, davvero. Corpi, respiri e umori: l’amore è fatto così. Ma chissà. Non ho un cercatore d’anima, altrimenti imprigionerei la tua.
Esodo
Cara Ludmila,
con Luca è finita. Oggi, ho trovato il coraggio. Dopo tre anni che tu ben conosci, fatti di lunghissime attese, tradimenti, promesse vacue, rifiuti umilianti, improvvisi suoi ritorni con lacrime di pentimento, di lacrime mie e notti insonni, di malattie contratte e controlli che sembra di morire solo a nominarle, di chiamate senza risposta, di gelo nel cuore davanti alle sue improvvise freddezze, d’impotenza per le sue fughe, di notti che spendeva fra alcool, droga e puttane. Ho provato, fino a ieri, a dargli l’ultimo assist. Messaggi, evocativi, invocativi, espliciti. Telefonate, nelle quali ignoravo la mia dignità dicendo “quando, quando ci possiamo vedere?” Ha risposto, ma non ha fatto altro. E io, fino a ieri, dicevo che bastava aver pazienza e aspettare un suo segno. Che riabbracciandosi tutto sarebbe tornato a quella notte, senza bisogno nemmeno di parole. Ecco i due grandi malintesi. Il primo: congelare il tempo. Il tempo passa, e niente è più come prima. Io ancora oggi sento di aver lasciato nel fondo di quella nostra prima notte, una parte di me che non riesco più a riprendermi. La realtà, la vita dell’altro, procede, mentre noi siamo ancorati ad un tempo fittizio, che vorremmo cristallizzato su noi, come goccia d’ambra racchiude un fossile. E il secondo: pensare che non servano nemmeno le parole. Non abbiamo avuto una storia d’amore. Non abbiamo avuto nulla, se non un letto, uno qualunque. Lui, come il generale Kutuzov, non ha mai voluto combattere, confrontarsi con lealtà. Napoleone voltò le spalle alla Russia, tornò a Parigi con solo il 2% della Grande Armée. Il mio 2% è il mio amor proprio.Tutto il resto l’ho perso,e lo so. Scappo da questa storia. Certo, sono ancora a Mosca, l’inverno sarà lungo. Ma devo crederci: ce la farò a rientrare a Parigi, no? So che la tua Mosca è stupenda ma, da oggi, Parigi sono io, o quel che resta di me. Abbracciami… ti prego.
Tua Anna