Sintobiografia e sintoscritti di Clara Cecchi
Clara Cecchi è nata e vive a Firenze.
Si è laureata in Lettere con una tesi sulla letteratura femminile
che affronta temi e problematiche comuni alle donne.
Ama la lettura e, da sempre, la sua passione è scrivere racconti, favole, recensioni, poesie.
Nel suo racconto che la rappresenta di più scrive:
“Parole sparse ovunque: doveva raccoglierle subito.
D’istinto afferrò un foglio e una penna e
cominciò a raccontare…”
E tu?
Quando sei diventato,
tu,
viaggio immaginato?
E’ il tuo ricordo
un treno mai partito.
Se mai…
Se mai arrivasse la tua voce
ascolto da distanze infinite,
ma immota è l’aria
e non più ci batte il cuore.
Trascorso è il nostro tempo,
silenzioso ci avvolge
il quieto vuoto del non amore.
Niente scalfisce il nulla,
resta furtiva una carezza lieve
in forma di pensiero,
al primo soffio di vento
tu possa sentire che è mia.
Il tempo
C’è il tempo che fugge
nell’aria che respiro
che sa di nido caldo
e volti antichi,
s’allontana a ritroso
la memoria
ricerca gli occhi chiari
di mio padre
il sorriso sereno
di mia madre.
S’avvicina il passato
ne sento già il sapore
il gusto dolce
di chi sta per tornare.
E’ lo scadere del tempo
che s’appresta
la mia grande gioia
e il mio terrore,
troppi i ricordi
che quest’aria mi dice,
non li so trattenere.
Mi lascio solo
la mia veste rossa,
quella di seta,
di quand’ero felice.
A chi
A chi
mi chiedeva
perché
rispondevo
per amore.
Come se fosse
amore,
tutto questo
dolore.
L’acquario
Seduta in poltrona immobile, lo sguardo impenetrabile, la vecchia fissa l’acquario.
Passa così i giorni, il tempo ormai le si confonde senza tregua.
Da quanto non è più padrona dei suoi ricordi non sa, forse un secondo o un’eternità, ma dei pesci l’affascinano i guizzi colorati, ama di ogni squama i bagliori iridescenti: all’improvviso per pochi istanti la mente s’illumina di quella luce e come una bambina sorride felice. Poi ripiomba nel buio ogni volta più fitto, lontana anni luce chissà dove, irraggiungibile.
Nemmeno lei sa più il perché, ma furtiva dopo le scende sempre una lacrima.
Binomio indissolubile
«Anima è una parola abusata: tutti ne parlano, pochi la conoscono davvero! Solo dalla ragione dobbiamo lasciarci guidare, lei non ci tradirà mai!» urlò la mente con piglio da caporale.
Spaventata, l’anima fuggì a nascondersi nell’angolo più remoto del cuore. Lui, pur dolorante per le molte ferite, si aprì ad accoglierla nel conforto di un abbraccio caldo, richiudendosi su di lei.
Talmente stretto divenne il loro legame che nemmeno la ragione ora riesce più a separarli.
Fra cielo e mare
All’orizzonte
Una linea netta.
Fra me e te
Vicini
Separazione
Perfetta.
Ogni tua parola
È in sussulto
ogni tua parola
che smuove il mio centro.
Sono fede che vacilla.
E ti nego
e mi nego,
odiandomi.
Senza titolo
A chi
mi chiedeva
perché
rispondevo
per amore.
Come se fosse
amore,
tutto questo
dolore.
Il giullare
“VENGHINO, Madonne e Messeri, VENGHINO!
Benvenuti nel mondo dei sogni e delle illusioni!”
A bocca spalancata il giullare rideva,
all’angolo dell’occhio,
una lacrima nascosta.
La grata
Chiudo di me
ogni porta
per scordare
il mio sentire.
Socchiusa lascio
sola,
una finestra
grigia
sulla via tracciata.
Pesanti
son gli scuri
dietro quella grata
di legno
massiccio.
Per non farmi male.
L’onda
Nel naufragio del tempo
travolta infine dall’onda
non una lacrima da bere
per me raccolgo:
solo desolazione resta
e una scia di silenzio.
Dietro di sè nudi sassi
appiattiti dal tempo,
rare conchiglie,
senza rumor di mare
e la tua musica
infranta in mille schegge
di madreperla
infisse nella mia spiaggia.
Le estrarrò una ad una
carezzandole senza fretta
con cautela
per non farmi male.
Il suono della pace
La musica,
lenta s’insinua,
piano,
nell’anima.
Si stacca
dal buio profondo
del mondo
e una vaga dolcezza
ricopre d’amore le cose.
E’ la pace.
Giochi infausti
Fu di notte in spiaggia, mentre guardavo le stelle
negli occhi grandi del mio uomo bambino.
Ora sono qui, sola.
Una mano rovente mi fruga fra le gambe,
morde e strappa via brandelli della mia carne,
sangue del mio sangue.
Il medico borbotta che potevo pensarci prima, invece di giocare all’amore dei grandi, stupida…
Di lui mi resta solo quella notte di troppo.
Risveglio
Inquieta.
Destarsi è un attimo e mi stupisco.
Nell’alba incipiente,
già la tua assenza
scolora i sogni notturni.
Colgo l’ultima occasione.
Cerco tracce di te
nei luoghi del tuo Respiro,
nella parola non detta,
nel gesto sospeso.
In attesa di un domani improbabile.
Percorro il letto sfatto,
esploro la stanza deserta,
assaporo l’aria.
Alla ricerca di te.
Non trovo che pietre e sassi,
in quest’arido risveglio d’estate.
Inutile.
Di te nemmeno un’impronta.
La cameriera
Lavorava al motel sull’autostrada,
dove coppie furtive e imbarazzate si concedevano
il tempo effimero degli amanti.
Nelle camere vuote lei spiava fra i letti disfatti,
le impronte calde dei corpi: cercava profumo d’amore,
ma aspirava solo l’odore acre del tradimento.
Nessun solvente avrebbe potuto cancellarlo.
D’amore e di rabbia
Trascorso è il nostro tempo,
silenzioso mi avvolge
il quieto vuoto del non amore.
Niente scalfisce il nulla.
Resta una carezza lieve
in forma di pensiero,
al primo soffio di vento
tu possa sentire che è mia.
La mia rabbia
La rabbia cresceva mentre lei si guardava intorno, inerte.
Rabbrividì: il freddo che l’aveva colta non l’aveva più lasciata, nonostante la lunga doccia bollente.
Aveva voluto lavare via ancora una volta ogni odore, ogni profumo, ogni sapore; ma ci sono odori, profumi e sapori che hanno il privilegio dell’immortalità e il colore vivido del ricordo.
La rabbia continuava a salire dentro di lei. Si sforzava di trattenerla, ma più cercava di concentrarsi e d’ignorarla e più veniva a galla: poteva quasi toccarla, sentire il punto dolente da cui partiva, il nodo gonfio e intricato da cui aveva origine, poteva seguirne tutto il percorso lungo ogni più piccola parte del suo corpo, quasi un flusso sanguigno, ma molto più potente e caldo, molto più veloce e aggressivo.
E a un tratto era già arrivata all’apice e premeva con forza per uscire: ormai era un fiume in piena che tracimava e traboccò, non più sorda, ma viva e violenta.
Tutto nella stanza fu travolto dall’onda furiosa: delusa, ferita dall’ennesimo rifiuto, dall’ennesima mancanza di rispetto. No, non si meritava di essere trattata così, non anche stavolta, non di nuovo. Non dopo tante parole, troppe: ne bastano molto meno per sentirsi una puttana.
Ora tremava, poteva percepire il dolore sotto la pelle, sentirlo pulsare dentro le vene, scorgere l’umiliazione sul suo viso.
Vinta dallo sforzo cadde sul letto. Restò così un tempo infinito, cullata da singhiozzi prima fitti poi sempre più radi, piccoli lamenti simili a un balbettio infantile.
Poi l’onda si ritirò, la rabbia all’improvviso scomparve: solo una grande stanchezza le restava, i muscoli e le ossa doloranti, la testa vuota.
Più nessun sogno, nessuna attesa, nessun dolore.
Niente più lui.
Si alzò e con un gesto automatico aprì la porta della camera: uscì nel corridoio ormai buio e accese la luce.
Ancora le restava la cena da preparare.
Il tempo non perdona
Sono in continua fuga dal tempo, invano m’invento cose da fare.
M’illudo di ingannarlo, invece lo subisco: mi chiama, mi tormenta, pretende la mia attenzione.
Sola, percepisco lo scandire di ogni singola frazione di secondo: nel silenzio le lancette del tempo fanno un rumore insospettabile.
E’ il tempo perduto da recuperare, il tempo che non so zittire, troppo tempo ora…
E il tempo non perdona.
Oltre la soglia
Vado… dicesti
fermo sulla soglia.
A un soffio da te
aspettavo lo slancio,
volarti addosso,
un rigurgito d’amore,
un sobbalzo,
ma in me nessun
moto del cuore,
nemmeno una voce
a trattenerti.
Senza indugiare
volgesti gli occhi
e varcasti la porta,
la nostra.
Dietro di te
soltanto uno scatto.
Se era sollievo
il tuo, o forse no,
non l’ho saputo mai.
Sinestesia
Eri tu
stanotte
nel silenzio
ti ho sentito arrivare
nel buio
ho riconosciuto
il tuo respiro
sulla pelle
ho respirato
il tuo odore
di gioia ho tremato
e di dolore.
Eri tu
e non ti potevo
afferrare.