Sintobiografia e sintoscritti di Maria Teresa Dotti

Ho sempre amato la poesia, sin da bambina, anche se poi, crescendo, ho per lungo tempo accantonato questo amore. Ho ripreso a scrivere negli ultimi anni, spaziando dalla poesia alle favole, a piccoli racconti, aforismi e haíku, prediligendo un linguaggio semplice e diretto comprensibile a tutti. Sono in vari gruppi di poesia e mi piace confrontarmi con altri autori, uno stimolo importante che credo mi abbia aiutata a migliorare anche stilisticamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                Alla mia mamma
colei che mi ha messo al mondo,
colei che mi ha castigata e sculacciata spesso,
colei che ha vissuto tempi durissimi
ed ha la scorza dura sopra un cuore buono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Medaglia senza verso

Mi piace saltare nella felicità,
a piedi pari e senza sollevare le vesti,
come nelle pozzanghere da bambina.
Quello stringere gli occhi raggianti di rughe
e ridere, ridere a crepapelle,
con la gioia fuori di me.
Ed è così che mi vede il primo che passa,
le mie risa suonate nel cielo sereno,
l’applauso libero del vento
e la beltà di un fiore,
che ho messo tra i capelli.
Al collo una medaglia non ha verso,
non bacia rime,
nel suo testa a testa con l’allegria.
 

 

 

Deviantart.net

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Delicata

Dove s’arricciola il petalo del giglio
Là nascesti
selvatica tra le spine
cullandoti in una goccia di rugiada
I piedi induriti tra i sassi
e gambe nude
punite dalle ortiche
Tre giri nel grembiule
ed uno sotto il sole
voltando fieno e faccia
sudore e lacrime
in un fazzoletto di cielo
ricamato di fuliggine nera
Dell’ultimo fuoco
scintilla spenta al tramonto
in una pala di torba
il tuo ricordo brucia
in questo mattone di cuore
in petto

Dedicata

 

 

 

 

 

Risveglio

Sugge l’aroma del caffè annegato di nero dentro la tazza, come ape appena svegliata dalla rugiada dentro un calice di calla.
Ci sono tante cose a cui una persona normale potrebbe pensare di primo mattino, a lei viene solo l’immagine di un piccolo pastore che come gomitolo dorme tra le pecore.
Chiude gli occhi, è poesia che rima sotto le palpebre e vorrebbe tacesse il gallo, che il piccolo continui a dormire…
E sorride stupida.
Come si può svegliare un pastore di carta?
Così apre al disincanto, un paio di mandate e la realtà entra dalla porta, il traffico che urge, due spruzzi di smog per iniziare la giornata.

 

 

 

 

 

Il filo bianco

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Sorridevi rattoppando squarci di tempo
Più volte mancavi la cruna
e mi tendevi il filo
che scoccavo nell’ago con abilità
mentre sulla stoffa nera
quei punti candidi facevano a pugni
E rattoppavi di giorno
col tuo filo bianco
perché i tuoi occhi nel buio
si perdevano come in un bosco
senza sentieri da seguire
rinchiusi tra le palpebre stanche
Sorridevi e leccavi le dita
annodando le estremità
che tendevi come i binari della ferrovia
su un polpastrello punto dal dialetto vivo
succhiandone il dolore con le labbra sottili

 

 

 

 

 

Eterno Peter Pan

Ho visto il rincorrersi senza fiato dei papaveri, poi gli Iris ed ora il lilium che d’arancio ombreggia le rocce, sbucando da ogni dove sorprendendomi.
Vorrei che anche tu m’accompagnassi laggiu’ dove l’ultimo fiore sbiadisce, tra il mescolarsi di sole ed ombra, tra le foglie dei canneti.
Fiancheggeremmo il rivo, che come sangue sgorga da un polso di pietra nel suo drammatico silenzio e tratterrò questa lacrima ancora un poco, qui in quest’angolo d’occhio ad asciugare, come una lucertola stesa al sole.
Di fronte a me il Cognolo, blocca lo sguardo, ha grandi squarci spogli tra robinie e biancospini, mi ricorda Peter Pan, con la giacchetta verde strappata, mi ricorda te, che come Peter Pan non cresci.

 

 

 

 

Il socio

Ha il cappello calato sugli occhi e mastica foglie di tabacco sputando come un lama.
Ma chi di lama ferisce di foglia di cicuta perisce.

Addio socio…

 

 

 

 

 

 

 

0zz0.com

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Nella vetrina rifletto

Hai spogliato il sorriso
ad un manichino vestito di seta
mentre per un attimo
tra i gabbiani riflessi
si sono rincorsi i nostri occhi
Ti ho sentito ansimarmi sul collo
caldo d’afa d’agosto
prima di riprendere il volo
negli stridii del temporale

 

 

 

 

 

 

 

 

Brace sulla pelle

Non si appiccicano alle dita
gli attimi felici
si aggrappano a una penna di dolore
Non ricordo nemmeno le parole
quelle che mi hai rubato dalle labbra
in una notte nuda di stelle
né quel desiderio urlato nel vento
come le spighe del grano durante la tormenta
Così ho spento i tuoi occhi come brace sulla pelle

 

 

 

 

 

Dal web

Dal web

Non ho più paura

Continuo ad ascoltare gli scricchiolii, cerco di capire se sono dei tuoi passi sul pavimento tirato a lucido.
Se anche anche stasera non torni, chiamerò tua madre, magari sei da lei, fai sempre così quando ti arrabbi con me.
Anche se dovrei essere io arrabbiata, non sono i lividi che mi fanno male, ma le parole, quelle che urli perché tutti sentano, perché tutti sappiano che cosa sono … inutile, incapace, inferiore e che posso solo prostrarmi ai piedi del mio unico Dio. Tu.
Quanti giorni sono passati da quando manchi? Non li conto più.
Non ho ancora avuto il coraggio di uscire, sopravvivo con pane duro e acqua, in questa casa trasformata in galera.
Tu non vorresti che io esca, tu non vuoi mai niente per me.
O forse si, dici sempre che ho bisogno di essere raddrizzata.
Pensa, questa volta mi hai spezzata.
Non sono i tuoi passi che scricchiolano sul pavimento lucido … te ne sei andato senza chiudere a chiave la porta.
Chiudo gli occhi, ora non ho paura di dormire.

 

 

 

 

 

 

Brivido

Un gioco di sole che diventa giogo dipinge la luna nei tuoi occhi
Lì dove inizia l’eclissi delle tue iridi scure è dove trema la mia paura
Una grata di luce in cui m’intrappolo e tu il tempo infinito che in silenzio addormenti
Quell’inconfondibile silenzio quello che parla di neve